Fare previsioni e speculazioni sull’imminente Conclave può essere un esercizio del tutto fuorviante. I Principi della Chiesa, con l'aiuto dello Spirito Santo, ragionano sui tempi e i modi della strategia di una antichissima istituzione. Le quattro questioni sul tavolo: il rapporto con l'Occidente, l'età, la pace e la riforma interna della Chiesa
I Cardinali non sono affatto degli sprovveduti. Le loro scelte tengono conto di molti fattori e se hanno come fine quello di portare avanti la Barca di Pietro, lo fanno nei marosi del mondo contemporaneo
In Italia, dove abbiamo una certa consuetudine con la materia, c’è una frase fatta che la dice lunga: “Chi entra Papa esce Cardinale”. È un detto romano diventato popolare perché evoca situazioni più generali che non la scelta del futuro Papa: mette in guardia su chi grida vittoria senza aspettare la fine della partita e avverte che la vita è ricca di delusioni quando le proprie ambizioni perdono il senso della realtà. Bonario cinismo romano cresciuto all’ombra del potere, che non finisce mai di stupire. Epperò vorrà anche dire qualcosa di specifico: difficile, molto difficile dire chi uscirà Papa dalla Sistina. Fare previsioni e speculazioni sull’imminente Conclave può essere un esercizio del tutto fuorviante se non dannoso. E tuttavia al di là della curiosità e del colore, va ricordato che i Cardinali che entreranno nella Cappella dipinta da Michelangelo, e che hanno già cominciato a discutere nelle Congregazioni, le riunioni aperte agli ultraottantenni che precedono l’extra omnes, non sono affatto degli sprovveduti. Le loro scelte tengono conto di molti fattori e se hanno come fine quello di portare avanti la Barca di Pietro, lo fanno nei marosi del mondo contemporaneo. Un mondo che vivono e che condividono costantemente sul territorio e a contatto con la popolazione di cui sono Pastori (l’“odore delle pecore” che Francesco raccomandava loro di avere). Ben prima che la geopolitica diventasse, malgrado tutto, anche un discorso da bar, i Principi della Chiesa ragionano sui tempi e i modi della strategia di una antichissima istituzione. Più che sulla tattica. Sui giornali potete trovare classificazioni politiche, ritratti interessati, figurine dei Porporati. Divisioni in “partiti” stabiliti arbitrariamente dai vaticanisti, i cronisti specializzati in cose vaticane. Ma pochi ragionano sulle questioni che questi 135 leader (in rappresentanza di 1,3 miliardi di fedeli) condividono in questi giorni. Proviamo ad elencarne alcune.
Con Jorge Mario Bergoglio il salto è stato ancora più deciso: la Chiesa ha avuto la prima leadership extra europea dopo tanti secoli
DIMMI DA CHE PAESE VIENI…
La prima ovvia questione riguarda la nazionalità. Dal 1978 il Papa non è stato più italiano. Ed è molto difficile che torni ad esserlo. Il polacco Karol Wojtyla e il tedesco Joseph Ratzinger, durante i rispettivi pontificati, hanno spostato fortemente l’ottica internazionale della Chiesa, liberandola dal Roma-centrismo. Con Jorge Mario Bergoglio il salto è stato ancora più deciso: la Chiesa ha avuto la prima leadership extra europea dopo tanti secoli. La cosa è stata favorita dall’origine italiana (e piemontese) di Francesco ma resta il fatto che una dozzina d’anni prima della clamorosa crisi che investe oggi l’Occidente (diviso al suo interno), il successore di Pietro è stato selezionato fra i cardinali del Sud Globale. E la scelta è arrivata dopo una crisi profonda della Curia e dell’istituzione che aveva portato alle dimissioni di Benedetto XVI, evento che non si ripeteva da quasi otto secoli. Dunque, la provenienza è un fattore importante. Perché posiziona la Chiesa nell’equilibrio mondiale in modo decisivo. Non è dunque per un colpo di maquillage esotico che si ragiona nei Sacri Palazzi sui candidati africani, sui filippini, sui coreani persino sui porporati di India e Sri Lanka. È fortemente probabile, infatti, che il prossimo Papa non sia europeo o che provenga da un Paese del G7. Più possibile che anche questa volta venga dal Sud del mondo, forse dai BRICS. Ex Oriente Lux, come dicevano i Padri della Chiesa… Per almeno due validissime ragioni: la Chiesa ha un’espansione e un respiro di crescita in quei Paesi, cosa che non ha più tanto nel secolarizzato Occidente. Due: l’impazzimento del potere occidentale “post liberale” spinge la Chiesa a non rimanere sotto le macerie di una civiltà in decadenza.
Puntare su un candidato di 60 anni oggi vuol dire prospettare alla Chiesa un pontificato di 25-30 anni. Difficile che l’istituzione se lo possa permettere. Vero anche che solo un “giovane” potrebbe varare nuove regole sulla materia
LONGEVI MA NON ETERNI
Poi c’è la questione dell’età. Per secoli la regola, che aveva il vantaggio di aumentare l’autorità e quindi la stabilità, era che il Papa restava in carica a vita. Salvo eccezioni. La medicina e la scienza hanno però cambiato profondamente la società: oggi la vita si è allungata e soprattutto negli anziani c’è una terza fase dell’esistenza che può essere, anche lungamente, non autosufficiente. Ci hanno già fatto i conti i welfare, i fondi pensione, l’assistenza sanitaria eccetera oltre che i risparmi delle famiglie. Anche la Chiesa se ne è accorta, quando ha adeguato ai tempi moderni le regole per Vescovi (scadono a 75 anni) e Cardinali (in pensione a 80). Sul Pontefice è sembrato che nei dieci anni di convivenza dei due Papi si potesse intervenire, ma poi l’idea è tramontata. La questione però resta e pesa eccome nelle scelte del prossimo Conclave. Puntare su un candidato di 60 anni oggi vuol dire prospettare alla Chiesa un pontificato di 25-30 anni. Difficile che l’istituzione se lo possa permettere, in un mondo in rapidssima evoluzione e che richiede continui aggiornamenti. D’altra parte c’è chi dice che solo un “giovane” potrebbe mettere mano ad una nuova norma, che stabilisce una scadenza a tempo, e potrebbe prometterla agli elettori.
Nel Novecento, alla vigilia della Prima Guerra mondiale è morto il Papa. Così come è accaduto alla vigilia della Seconda Guerra mondiale
LA PROFEZIA DELLA PACE
Terza questione che rischia di essere dirimente: il timore di una nuova guerra mondiale e la profezia della pace. Su questo punto contano i precedenti storici (e gli scongiuri). Nel Novecento, alla vigilia della Prima Guerra mondiale è morto il Papa. Così come è accaduto alla vigilia della Seconda Guerra mondiale. In entrambi i casi, Benedetto XV e Pio XII, sono stati scelti fra la classe diplomatica di primo livello della gerarchia ecclesiastica. Giacomo della Chiesa veniva da una lunga carriera in Segreteria di Stato. Così come Eugenio Pacelli era stato Nunzio in Germania e Prussia. Il Conclave di oggi si svolge sotto la minaccia di due focolai di guerra che rendono il “mondo a pezzi” e il papato di Francesco è stato spesso fortemente isolato nella sua “profezia della pace”. Il nuovo Papa non potrà avere dubbi o tentennamenti su questa materia, che diventa elemento discriminante per questa scelta. Nel 1991, a solo due anni dalla caduta del Muro di Berlino, Giovanni Paolo II, che pure era considerato un Papa filoccidentale, si rifiutò di “battezzare” la prima guerra in Iraq, quella lanciata dagli Usa per l’invasione irachena del Kuwait. La predicazione pacifista di Francesco non è un caso isolato, come a volte si vorrebbe far credere. Su questo punto la continuità con il predecessore sarà un obbligo per il nuovo Papa.
Napoleone: “Distruggerò la vostra Chiesa”. Il cardinal Consalvi: “Maestà, sono venti secoli che noi stessi cerchiamo di fare questo e non ci siamo riusciti”
LA CURIA E IL RINNOVAMENTO
I giornali laici e laicisti mettono molto a tema i problemi interni dell’organizzazione ecclesiastica della Chiesa cattolica. Ci si concentra sui dipendenti del Vaticano, circa cinquemila persone lavorano per la Santa Sede, poco meno dei dipendenti delle municipalizzate del Comune di Roma. Il “focus” è sempre messo sul potere del piccolo Stato della Città del Vaticano, come nel recente film Il Conclave. È vero che sulla riforma interna della Chiesa (per definizione semper reformanda) papa Francesco ha iniziato un cammino importante e certo l’opera non è conclusa. Tuttavia, è molto difficile che una Chiesa decentrata che guarda il mondo capovolto dal Sud del pianeta possa tornare a farsi definire dalla Curia romana. Sono anzi sicuro che il successore di Francesco non toccherà la riforma dell’economia dello Stato vaticano, così come non tornerà a dormire nell’appartamento di Giulio II alla Terza Loggia dei Sacri Palazzi. L’ansia di rinnovamento contenuta nelle dimissioni di Ratzinger, e a cui papa Francesco ha dato delle prime risposte, dovrà portare altri frutti di innovazione e cambiamento.
LO SPIRITO, LA CARNE E I PORPORATI ELETTORI
La questione dello Spirito Santo. Un po’ per scaramanzia e un po’ per scherzare i commentatori evocano spesso l’influenza dello Spirito Santo sulle decisioni che si prendono nel chiuso della Sistina. Certamente lo Spirito del Signore viene evocato dai cardinali ma Joseph Ratzinger, nel 1997, quando era ancora prefetto della Congregazione della Fede disse una volta con ironia e saggezza: “Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto”. E tuttavia sarebbe fuorviante dimenticare che la realtà storica della Chiesa ha un’origine che dice di essere non del tutto umana e che il suo destino non è in mano ai soli cardinali e vescovi, successori dei primi apostoli. C’è un episodio al riguardo molto istruttivo: un dialogo tra Napoleone e il cardinal Consalvi. “Io distruggerò la vostra Chiesa”, disse Napoleone al cardinale. “Maestà, sono venti secoli che noi stessi cerchiamo di fare questo e non ci siamo riusciti”, rispose il Segretario di Stato di Pio VII. Battuta pronta quella del Cardinale ma che rivela una grande saggezza: la Barca di Pietro naviga soprattutto per volontà del Signore. La parete di fondo della Cappella Sistina affrescata da Michelangelo funziona da grande promemoria per i porporati elettori, soprattutto sotto questo aspetto.