L'Intelligenza artificiale è diventata un fattore competitivo cruciale. La corsa tra USA e Cina stimolerà l'innovazione e l'ottimizzazione delle risorse sull'Intelligenza Artificiale mentre l'Europa, come spesso accade, regola e rincorre
In trent’anni gli americani, e il mondo, sono passati dal completo scetticismo alla fede nello strumento computazionale, fino a farne negli ultimi quindici anni uno strumento di competitività
La Cina ha sorpreso il mondo con l’introduzione di Deep Seek. I mercati americani della tecnologia sono caduti dopo la notizia e il Presidente Trump l’ha definita un campanello d’allarme. Ma che cosa ci dice la storia e l’analisi economica in merito a questa notizia? E gli europei dovrebbero essere preoccupati oppure no?
L’AI, una piccola storia: all’inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti ci si chiedeva se l’Intelligenza artificiale si sarebbe rivelata davvero utile o se sarebbe stata una replica della teoria del caos (il battito delle ali della farfalla a Pechino modifica qualcosa a new York, ma cosa cambia esattamente non lo sappiamo), matematicamente affascinante ma scevra di contenuti pratici (al momento). Lo posso affermare con certezza perché è il commento che ricevetti presentando un paper di ricerca al National Bureau of Economic Research a Boston in cui, assieme a Pietro Terna e Sergio Margarita dell’Università di Torino, discutevo su come usare le Reti Neurali Artificiali (RNA) per la simulazione di un mercato finanziario popolato da agenti razionali che decidevano gli investimenti sulla base dello schema di ragionamento proprio delle RNA. Si trattava di un esempio di un programma di ricerca che nel 1995 fu condensato in un libro (Neural networks for economic and financial modelling, edito da Kluwer University Press) di cui ricorre il trentesimo anniversario. Per citare un altro esempio, presentai lo stesso paper al Dipartimento di Finanza della Columbia University a New York ricevendo commenti estremamente negativi, che mi indussero a lasciare l’AI come campo principale di ricerca. In trent’anni gli americani, e il mondo, sono passati dal completo scetticismo alla fede nello strumento computazionale, fino a farne negli ultimi quindici anni uno strumento di competitività citato nel Rapporto Draghi come il principale driver del gap di reddito pro-capite che si è accumulato nel periodo tra Europa e USA.
L’AI, la produttività e il reddito: è vero che l’AI aiuta la crescita? Gli studi dicono di sì. Le aziende nel settore manifatturiero che usano predictive analytics (in sostanza, una combinazione di AI e Big data) presentano migliori risultati. Il fenomeno era però relativamente ridotto sino alla diffusione della GenAI (Intelligenza Artificiale Generativa), ChatGPT tanto per capirci, che è stato per il settore dell’AI quello che è stato Windows di Microsoft per l’utilizzo dei computer. Quando Windows 1.0 fu introdotto nel 1985 il mondo dei computer era riservato ai programmatori, i pochi eletti che dialogavano con le macchine usando Fortran. Dal 1985 è possibile trattare i dati senza saper programmare. Certo, ci sono voluti decenni per la diffusione di Windows e per l’utilizzo professionale del computer, al punto da spingere il Premio Nobel Bob Solow a scrivere che in USA si vedeva l’impatto dei computer dappertutto tranne che sulle statistiche della produttività del lavoro, ma l’effetto cumulato è innegabile. Siamo agli albori del fenomeno equivalente per l’AI. Chiunque oggi può usare ChatGPT, senza sapere come funziona una Rete Neurale Artificiale, così come chiunque può guidare senza sapere come funziona il motore (certo in teoria dovremmo saperlo perché fa parte dei corsi degli esami per la patente, ma sappiamo che nessun concetto si apprende senza essere convinti che sia davvero utile). Nel settore dei servizi, esperimenti condotti da grandi società di consulenza dimostrano che le persone aumentano la produttività sino al 30% dopo avere iniziato ad avvalersi di ChatGPT. Al momento l’impatto è ancora contenuto ma in prospettiva crescerà a dismisura, come ci dice il Nasdaq, che valuta le aziende più esposte all’AI sulla base degli utili futuri per i prossimi decenni.
Niente di nuovo per l’Europa dove non si riesce a trasformare talento e capacià in aziende…
ChatGPT e Deep Seek. Ha fatto scalpore la notizia relativa alla diffusione del “ChatGPT cinese”, chiamato Deep Seek. Il titolo Nvidia ha perso il 16% in una giornata, recuperando solo l’otto nella seduta successiva. Perché fa così scalpore che uno scienziato cinese sia stato in grado di creare uno strumento confrontabile a ChatGPT? In fondo, sappiamo da anni che la Cina investe quanto e più degli Stati Uniti in Intelligenza Artificiale, quindi perché sorprendersi? Inoltre, sappiamo che dal punto di vista dell’attenzione per la privacy degli utenti la Cina è meno progredita degli Stati Uniti, e certamente dell’Europa (come afferma un detto ormai famoso: in USA si inventa, in Cina si adatta, in Europa si regola), punto su cui torneremo tra poco. Sentirsi più liberi dal punto di vista del rispetto degli utenti e delle applicazioni tecnologiche non può che aumentare l’efficienza dello sviluppo del prodotto e la potenza dell’algoritmo. Sono forse due gli elementi sorprendenti. Il primo è che un prodotto come ChatGPT sia realizzabile a costi molto inferiori anche se su questo elemento non è che abbiamo una certezza sui costi sostenuti e sul tempo che è stato necessario per questo software, anche tenendo conto che (a) imitare è più semplice che creare (b) il paper su “attention is all you need”, il fondamento della GenAI tramite la tecnologia transformer, è stato pubblicato in tutto il mondo (quindi anche in Cina) nel 2017. Il secondo è che, di nuovo a quanto sembra, l’algoritmo cinese è molto più efficiente dal punto di vista dell’utilizzo dei chip e dell’energia necessaria per la sua alimentazione. Questo è un punto cruciale: a luglio del 2024 Google aveva scritto nel suo Rapporto Non Finanziario che il forte uso dei data center aveva aumentato del 50% l’uso di energia elettrica negli ultimi cinque anni, al punto tale da mettere in dubbio gli obiettivi per il 2030 (che, post-Trump, potrebbero comunque rimanere un sogno). In molti si pongono quindi domande relativamente al rapporto tra sostenibilità e AI e qualsiasi notizia che suggerisca un allentamento del trade-off è molto positiva (e di per sé sarebbe compatibile con un aumento, e non una diminuzione, del valore borsistico delle aziende tecnologiche).
La Cina, gli Stati Uniti e l’Europa. Quali le implicazioni per la crescita futura? Anche qui, purtroppo per noi, niente di nuovo. Era inevitabile che i cinesi sorpassassero temporaneamente gli americani nella gara tecnologica, cosa che farà bene alle aziende statunitensi che avranno possibilità di rivedere i propri modelli di business e imparare dai cinesi (Federer ha sempre detto che senza Nadal non sarebbe migliorato così tanto, e Sinner è il peggior nemico di sé stesso in quanto nel 2030 sarà più forte se troverà a breve un vero rivale sul circuito). Quindi ottima notizia per la produttività globale. Se fosse confermato che l’utilizzo di energia e componenti si riduce la notizia sarà ancora migliore (in Ritorno al Futuro la macchina del tempo a un certo punto funziona con le bucce di banana prese dal sacchetto dei rifiuti). Resta la perplessità di sempre: un regime autoritario che rispetta meno i diritti individuali gioca con un vantaggio rispetto a chi li rispetta e può essere negativo che acquisisca una forza competitiva superiore. Anche qui però niente di nuovo. E purtroppo niente di nuovo anche per l’Europa: abbiamo grandi obiettivi (salvare il mondo), grandi Università con prodotti progrediti di ricerca, enorme talento e capacità, ma per qualche motivo non riusciamo a trasformare tutto questo in aziende, anzi in business sostenibili. Gli europei dovrebbero essere preoccupati di Deep Seek molto più degli americani, insomma, anche se per il momento la principale preoccupazione sarà regolare Deep Seek (che infatti nei giorni successivi alla notizia, non è disponibile nel nostro Apple Store).