Un articolo di: Edward Lozansky

Il 30 aprile segna una data importante per la politica americana: ricorreranno infatti i primi cento giorni di mandato del presidente degli Stati Uniti alla Casa Bianca. Tutta l’attenzione si concentrerà sul bilancio dei suoi successi e dei suoi fallimenti. Ma nulla, tuttavia, può essere più importante della pace...

Woodrow Wilson

Per Donald Trump si avvicina il momento di prendere decisioni importanti – che alcuni definiscono fatidiche, – sulla fine della guerra in Ucraina. Fatidiche perché un suo eventuale fallimento rischierebbe di innescare un’escalation capace di sfociare in una Terza guerra mondiale. In tal senso, sarebbe utile per lui e i suoi consiglieri rinfrescare la memoria e provare a capire perché il celebre autore austriaco Stefan Zweig, nella sua opera “Momenti fatali”, accanto a figure immortali del calibro di Goethe, Tolstoj, Händel, Napoleone e Lenin, che hanno attraversato momenti simili, abbia voluto menzionare anche il presidente americano Woodrow Wilson (nella foto) usando l’espressione “Wilson versagt” (Wilson fallisce). In alternativa, se sono troppo impegnati per leggere Zweig, possono fare riferimento all’autore americano Rusty Eder, che fornisce spiegazioni semplificate nel suo articolo “Il fallimento di Wilson? Il Trattato di Versailles”.

“L’undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese…” Esistono forse insegnanti di storia americana che, parlando della Prima guerra mondiale e della tregua che prometteva di porre fine al conflitto, non abbiano mai pronunciato questa frase? Eppure, anche un’altra data merita di essere ricordata in questo contesto: il 19 novembre 1919, quando il Senato degli Stati Uniti d’America, con un gesto senza precedenti, respinse il trattato di pace, ovvero il Trattato di Versailles.

Oggi Trump si trova a dover affrontare le stesse difficoltà che Wilson riscontrò con il suo piano dei “Quattordici Punti”, quando fu costretto a destreggiarsi tra il Senato, gli alleati europei e l’opinione pubblica americana. Emerge, tuttavia, una differenza sostanziale: mentre nella Prima guerra mondiale persero la vita anche soldati americani, nel conflitto in Ucraina non sono presenti truppe statunitensi, eccezion fatta per i mercenari. Si potrebbe pensare che gli americani, nell’aderire con sincerità ai valori giudeo-cristiani, debbano opporsi a una guerra tra due Stati cristiani. Eppure, quelli che la pensano così sembrano rappresentare una minoranza, in particolare tra democratici. In Congresso alcuni repubblicani si sono schierati al loro fianco, preferendo il proseguimento di una guerra che indebolisce la Russia e mostrando indifferenza per il sacrificio di vite ucraine.

Jared Peterson: “L’interesse dell’Occidente per l’Ucraina altro non è che un’avventura egemonica degli Stati Uniti, mirata a consolidare il dominio degli USA in Europa dell’Est e, in prospettiva, nel resto del mondo”.

Secondo i dati del Pew Religious Landscape Study, quasi nove adulti americani su dieci dichiarano di credere in Dio o in uno spirito universale. Tuttavia, a differenza delle devastanti guerre condotte negli ultimi vent’anni dagli Stati Uniti e dalla NATO in Medio Oriente, il conflitto attuale in Ucraina si distingue per l’assenza di un fattore islamico militante. Oggi, il potere si trova saldamente nelle mani di cristiani ed ebrei che si identificano apertamente con le rispettive fedi.

Jared Peterson, sulle pagine di American Thinker, ha perfettamente ragione nell’affermare che “l’interesse dell’Occidente per l’Ucraina altro non è che un’avventura egemonica degli Stati Uniti, mirata a consolidare il dominio degli USA in Europa dell’Est e, in prospettiva, nel resto del mondo”.

L’establishment di Washington, insieme ai suoi alleati transatlantici, descrive questo conflitto come una guerra “non provocata”, attribuendo ogni colpa a Vladimir Putin. Eppure, esiste anche un’altra America, che annovera tra le sue fila numerosi esperti di primo piano, sia di destra che di sinistra, i quali non condividono questa versione dei fatti: personalità difficilmente etichettabili come simpatizzanti di Putin o utili idioti.

Nel suo articolo “L’Ucraina – l’ultimo disastro dei neocon” il professore Jeffrey Sachs della Columbia University non ha esitato a fare nomi e cognomi delle persone che ci hanno condotto in questo vicolo cieco. Lo hanno fatto dichiarando che gli Stati Uniti devono dominare il mondo, contrastando l’ascesa di nuove potenze regionali che un giorno potrebbero arrivare a sfidare la supremazia statunitense mondiale o locale.

L’elenco di voci autorevoli che attribuiscono all’Occidente la responsabilità di aver provocato questa guerra è lungo, e continua a crescere. Tra queste, si potrebbe ricordare il compianto Papa Francesco, che non esitò a parlare con franchezza e avvertì che “l’abbaiare della NATO alle porte della Russia” può aver condotto all’invasione dell’Ucraina, aggiungendo di non sapere se gli altri Paesi debbano continuare a fornire armi a Kiev.

Si può ragionevolmente supporre che gli incontri ufficiali tra i capi di governo non rispecchieranno lo spirito solenne della sacra cerimonia funebre del Papa. Mi permetto tuttavia di osservare che lo stesso Pontefice avrebbe probabilmente guardato con favore a questi incontri, qualora si sia trattato di iniziative a sostegno dell’impegno di Trump per la ricerca della pace. Al contrario, per figure come Macron, Starmer, Zelensky e von der Leyen, che senza dubbio cercheranno di convincerlo a proseguire una guerra portatrice di morte e distruzione, questi incontri non potrebbero che rappresentare una totale umiliazione.

Steven Witkoff, un ospite frequente e molto gradito al Cremlino

Il 30 aprile segna una data importante per la politica americana: ricorreranno infatti i primi cento giorni di mandato del presidente degli Stati Uniti alla Casa Bianca. Tutta l’attenzione si concentrerà sul bilancio dei suoi successi e dei suoi fallimenti. Nulla, tuttavia, può essere più importante della pace. In occasione dell’80° anniversario dell’incontro sull’Elba, quando americani e russi erano alleati, si sono tenute celebrazioni a Mosca, a Washington e nella cittadina tedesca di Torgau, sede dei monumenti dedicati all’evento storico. Sia i partecipanti in presenza sia coloro che hanno seguito le celebrazioni online hanno rivolto i loro auguri a Trump, auspicando il successo dei suoi sforzi per la pace.

Non lontano dal luogo in cui, nel cuore di Mosca, si celebrava la cerimonia per il Giorno dell’Elba, si è svolto un episodio carico di simbolismo: un corteo di automobili, con a bordo il consigliere di Trump, Steve Witkoff (nella foto), ha attraversato la città in direzione del Cremlino, accolto da una folla che sventolava bandiere russe e americane.

Presidente e fondatore dell'Università americana a Mosca "American University"

Edward Lozansky