I rischi legati all’attivismo del più grande fondo finanziario americano, Blackrock, e al possibile ingresso della finanza statunitense nella gestione delle infrastrutture strategiche dei porti italiani. Significherebbe non solo un dominio sulla logistica ma il diretto controllo delle infrastrutture
La possibile entrata di capitali americani nella gestione di porti, retroporti e ferrovie italiane è una questione molto seria e preoccupante
Il 30 settembre scorso Giorgia Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi Larry Fink, il numero uno di BlackRock, il più grande fondo finanziario americano e del mondo con un portafoglio di diecimila miliardi di dollari.
Nel corso della riunione si è ufficialmente parlato di Data Center, cioè dei grossi centri informatici con migliaia di computer necessari al funzionamento delle intelligenze artificiali, delle tecnologie relative e delle loro infrastrutture (energia, raffreddamento, cavi dati).
Ma è trapelato sulla stampa che al tavolo della riunione tra Meloni e Fink c’era anche la creazione di una o più società nazionali per la gestione dei porti, aperta ai capitali americani, che superi la frammentazione attuale del sistema portuale italiano.
Hanno parlato anche della cessione di una quota di Ferrovie dello Stato o, più probabilmente, di Trenitalia. Insomma, l’Italia deve svendere l’argenteria, tanto è messa male coi conti.
Si è stabilito anche di creare un tavolo di lavoro permanente tra BlacRock e i ministeri competenti, forma inedita simile alla “trattativa privata” una procedura non confacente ad affari di questa dimensione che riguardano infrastrutture strategiche.
In Commissione Trasporti della Camera dei Deputati a fine settembre il Governo non ha smentito la possibilità di privatizzazione dei porti ma non ha chiarito metodo e strategia.
La privatizzazione delle Autorità Portuali è una misura perseguita dal Governo e implicitamente contenuta nella disposizione della UE di tassare le medesime come se fossero aziende private a fine di lucro e non Enti Pubblici Non Economici come finora previsto dalla legislazione italiana.
La questione della possibile entrata di capitali americani nella gestione di porti, retroporti e ferrovie è una questione molto seria e preoccupante che potrebbe avere connessione anche con l’ entrata di BlackRock in primarie compagnie di shipping come l’italo-svizzera MSC che già ha una presenza preponderante nel porto di Trieste. Qui ha praticamente il controllo del Molo VII e della Piattaforma Logistica, base del futuro Molo VIII. Si tratta del nuovo terminal container gestito dall’amburghese HHLA: un investimento da 600 milioni, equamente suddivisi tra PNRR, governo e privati.
In pochi anni, dall’ipotesi di sviluppo del porto triestino con capitali cinesi lungo la Nuova Via della Seta, si è passati a quella basata su grandi player della logistica che hanno intrecci con i capitali americani
BlackRock è attentissimo a tutto ciò che si muove nel settore della logistica e trasporti, come dimostra l’acquisizione nel gennaio 2024 del fondo americano Global Infrastructure Partners (GIP), ramificato in porti, aeroporti e trasporti.
GIP gestisce un portafoglio da oltre 100 miliardi e controlla l’aeroporto di Londra-Gatwick, il porto di Melbourne e la società ferroviaria Italo, che ha rilevato al 100%, cedendo poi la maggioranza a MSC.
“Condividiamo una visione comune con GIP e siamo orgogliosi di costruire valore sulla base di questa partnership strategica”, commenta il presidente di MSC Diego Aponte. Il rapporto fra GIP e MSC va infatti ben oltre: iI fondo americano acquisito da BlackRock detiene anche un terzo delle quote di Terminal Investment Limited (TIL), società creata da MSC per gestire le proprie infrastrutture portuali, oltre 70 terminali in 31 paesi. Numeri che il colosso MSC continua a incrementare. L’esplosione delle tariffe dei noli container per effetto della pandemia gli ha permesso di accumulare enormi liquidità. Gli unici dati mai resi noti sono del 2022: ricavi per 86,4 miliardi, profitti netti per 36,2 miliardi e valore della cassa di 63 miliardi, sommando ramo merci, crociere, terminal e attività intermodali.
MSC è il primo armatore al mondo con 577 navi di proprietà e 294 in charter: capacità di stiva totale da 6 milioni di container, pari al 20% di quella mondiale. Diventerà il 31%, non appena saranno entrate in funzione le oltre cento portacontainer in costruzione.
MSC lavora per integrare l’intera catena logistica: navi, banchine, ferrovia, interporti, traffico aereo. Le operazioni di acquisizione non si contano. ll gruppo è entrato con il 49,9% in HHLA, che controlla l’importantissimo porto di Amburgo, una compagnia ferroviaria dal network esteso come la tedesca Metrans ed anche la Piattaforma Logistica di Trieste.
Nel capoluogo giuliano MSC è pure entrata nell’industria, acquisendo la fabbrica di grandi motori navali Wärtsilä che sarà riconvertita nella produzione di carri merci ferroviari.
In pochi anni, dall’ipotesi di sviluppo del porto triestino con capitali cinesi lungo la Nuova Via della Seta, si è passati a quella basata su grandi player della logistica come MSC e HHLA che hanno intrecci con i capitali americani.
Sullo sfondo l’influenza politica del mondo finanziario americano la cui presenza negli asset strategici italiani sta aumentando con l’approvazione e sotto l’ombrello del Governo Meloni.
Ad esempio, a fine 2024, BlackRock ha acquisito una quota superiore al limite del 3% di Leonardo spa con l’autorizzazione del Governo, indispensabile nei casi di industria strategica.
La Leonardo spa, come noto, è una colossale industria di armamenti ed aerospazio (la prima in Europa) controllata dal governo italiano.
BlackRock al 31 dicembre 2023 aveva un portafoglio italiano del valore di 97,3 miliardi di dollari, comprese quote del 7% del capitale di Unicredit, il 5% di Intesa San Paolo e partecipazioni in Eni, Enel, Mediobanca e Generali.
La forte penetrazione della grande finanza americana in asset strategici italiani è testimoniata anche dalla crescente sinergia del gigante americano con SACE, primario gruppo assicurativo controllato dal governo e specializzato nel sostegno alle imprese, o con altri affari della finanza americana come l’acquisizione della rete di telecomunicazione TIM, già della Telecom Italia, da parte della KKR Global Institute presieduta dall’ex direttore della CIA generale Petraeus.
David Petraeus, ora businessman della KKR, è stato Comandante dell’United States Central Command, che prevedeva la responsabilità strategica di tutto il teatro medio-orientale, compresa la conduzione delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan, prima di essere chiamato a diventare il 23° Direttore della CIA.
Altro che le semplici concessioni portuali temporanee a società cinesi di logistica, accusate di essere un “pericolo strategico” perché volte a fare del Porto Franco di Trieste un terminal europeo della nuova Via della Seta! Qui si programma una presenza con controllo pervasivo americano a cui non sono estranei espliciti interessi strategico-militari.