Il fenomeno del candidato per la presidenza della Romania, Georgescu, rappresenta la dimostrazione di come la maggioranza dei rumeni si sia sollevata contro lo “Stato catturato”, reclamando la liberazione delle istituzioni: un obiettivo realizzabile solo attraverso il completo smantellamento dell’attuale classe politica.
Dai sondaggi d’opinione si è saputo che nel secondo turno Georgescu avrebbe ottenuto il 62-67% dei consensi degli elettori, dopodiché le elezioni sono state annullate e il ballottaggio non ha mai avuto luogo.
Nel dicembre 2024 si è cominciato a parlare di Călin Georgescu come di una grande sorpresa. Sebbene fosse sconosciuto al grande pubblico, Georgescu godeva di una solida reputazione come esperto di alto profilo negli ambienti politici. Aveva infatti ricoperto la carica di direttore esecutivo del Centro Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile dal 1997 al 2013 e, tra il 2015 e il 2016, aveva guidato per un breve periodo l’Istituto delle Nazioni Unite per l’Indice Globale di Sostenibilità con sede a Ginevra. Nel 2010, inoltre, aveva assunto la carica di segretario di Stato (viceministro) presso il Ministero dell’Ambiente. Georgescu ha partecipato alla campagna elettorale da perfetto outsider, ma in soli due mesi è riuscito a sconvolgere gli equilibri del panorama politico del Paese. A seguito di una scandalosa decisione della Corte Costituzionale, il candidato vincitore del primo turno delle elezioni presidenziali è stato privato del diritto di diventare capo di Stato. Stando ai sondaggi d’opinione, nel secondo turno Georgescu avrebbe ottenuto tra il 62% e il 67% dei consensi, tuttavia le elezioni sono state annullate e il ballottaggio non ha mai avuto luogo. Da allora si è scatenata un’incredibile campagna contro Georgescu, orchestrata dai partiti politici, dai media e dalle istituzioni statali.
Ciononostante il consenso di Georgescu è rimasto stabile. Gli ultimi sondaggi indicano che nelle prossime elezioni presidenziali del 4 maggio Georgescu avrebbe potuto ottenere tra il 38,4% e il 44,1% dei voti già al primo turno. Questo risultato ci conduce alla conclusione logica che Georgescu avrebbe quasi certamente vinto al secondo turno. E ciò, a sua volta, ci porta alla conclusione logica che ormai non si parla più della “sorpresa Georgescu”, ma di un vero e proprio “fenomeno Georgescu”. Ecco perché, per mezzo di una serie di manipolazioni brutali, a Georgescu è stato impedito di candidarsi alle elezioni di maggio. Le sorprese sono effimere: vanno e vengono; i fenomeni, invece, resistono nel tempo, lasciando un’impronta profonda sulla scena politica.
Le accuse rivolte a Georgescu nel dicembre scorso non sono mai state provate. L’annullamento del secondo turno delle elezioni presidenziali è stato giustificato dal sospetto che alcuni “fattori esterni” potessero aver interferito nel corso della campagna elettorale. L’eufemismo “fattori esterni” era una palese allusione alla Russia, mentre per “campagna elettorale” si intendevano, in realtà, le attività svolte dal quartier generale elettorale di Georgescu sulla piattaforma TikTok. Ma poiché non si è riusciti a provare nulla, si è resa necessaria la fabbricazione di nuove accuse.
In un primo momento la procura ha disposto l’arresto di Georgescu imputandogli reati quali “incitamento ad azioni contro l’ordine costituzionale”, “diffusione di informazioni false” e partecipazione alla creazione di un’organizzazione di “carattere fascista, razzista o xenofobo”. Nel frattempo i media rumeni diffondono dettagli sui sospetti avanzati dalla procura: accuse che, ancora una volta, sembrano basarsi sulla rilettura di vecchie dichiarazioni di Georgescu, espresse in un contesto ben preciso, o sulla sua corrispondenza privata con individui ritenuti a lui vicini e definiti come presunti “legionari”. Dai “Legionari” alla “Guardia di Ferro” il passo è breve: essere un sostenitore di questa formazione paramilitare non solo è estremamente grave, ma anche punibile per legge. I legionari sono associati a un movimento fondato nel 1927, noto come la Legione dell’Arcangelo Michele, caratterizzato da un’ideologia antidemocratica, anticapitalista, anticomunista e antisemita. La Legione ha avuto una storia breve ma estremamente turbolenta. Sebbene il loro orientamento ideologico sembrasse predestinare una potenziale collaborazione con la Germania nazista, in seguito si scoprì che furono proprio i servizi tedeschi a giocare un ruolo decisivo nella distruzione della Guardia di Ferro, l’organizzazione paramilitare legata ai legionari. Il leader rumeno Ion Antonescu siglò un patto con la Legione e, all’inizio del suo governo, la Romania fu persino proclamata uno “Stato Nazionale Legionario”. Tuttavia il suo conflitto con i legionari non tardò a emergere, portando a conseguenze devastanti per questi ultimi. I legionari finirono per disgregarsi e disperdersi e, nel dopoguerra, si schierarono su fronti opposti. Edward Baer scrive che alcuni di loro, rimasti in Romania, arrivarono persino a collaborare con le nuove autorità comuniste, assumendo incarichi nella repressione dell’opposizione controrivoluzionaria (forse nel tentativo di vendicarsi dei gruppi che avevano continuato a sostenere Antonescu). Roland Clark, invece, rileva che, come molti altri fascisti e nazionalisti europei dell’epoca della Guerra Fredda, alcuni legionari emigrati furono accolti dalla comunità dei servizi segreti americani e impiegati nella lotta contro i regimi socialisti.
Da un lato i legionari vengono percepiti come collaborazionisti, spesso e volentieri identificati con la Guardia di Ferro, tristemente nota per gli orribili crimini perpetrati contro la popolazione ebraica di Bucarest e Iași. Dall’altro, lo storico Stanley Payne osserva che “la Legione fu probabilmente il movimento di massa più insolito in tutta l’Europa interbellica”. Le loro valutazioni variano sensibilmente a seconda dell’aspetto preso in esame — sia esso l’ideologia, la pratica politica o le attività dell’organizzazione paramilitare.
Ad esempio, nelle opere della maturità di Mircea Eliade, uno dei più famosi esponenti della Legione, si attinge alla filosofia del misticismo – uno dei pilastri dell’ideologia legionaria. La questione è dunque al centro di accesi dibattiti tra i romeni. Logicamente, coloro che vogliono giudicare Georgescu ricordano subito il suo legame con la Legione, un’accusa che porta con sé le etichette di fascista e antisemita affibbiate al mancato candidato alla presidenza della Romania. Sorge tuttavia una domanda: se queste accuse fossero fondate, perché Georgescu non è stato criticato per gli stessi motivi prima delle ultime elezioni? Com’è possibile che un fascista dichiarato e un conclamato antisemita sia stato autorizzato a candidarsi presidente nel 2024? Inoltre, non si capisce bene come un “candidato russo” possa essere, al tempo stesso, accusato di sostenere il fascismo: di solito chi appoggia il fascismo non si schiera con la Russia, ma con le varie organizzazioni politiche e (para)militari ucraine.
La Romania del 21mo secolo rappresenta uno “Stato catturato” vero e proprio.
Nonostante tutto la candidatura di Georgescu è stata contestata dalla Commissione Elettorale Statale dopo il suo arresto, poi la Corte Suprema ha respinto il suo ricorso. La posta in gioco è chiara: sin dal mese di dicembre, il potere giudiziario è stato sistematicamente impiegato per estromettere un candidato anti-sistema che aveva concrete possibilità di vincere le elezioni. Ma la grande domanda adesso è un’altra: come influirà l’eliminazione di Georgescu sui futuri processi politici in Romania? Perché Georgescu non è più una sorpresa, ma un autentico fenomeno. E a contribuire alla nascita di questo fenomeno sono state anche le istituzioni statali.
Come ha fatto un candidato anonimo, privo del sostegno dei principali partiti politici e di un budget importante, a trasformarsi in fenomeno nel giro di pochi mesi? Il merito è in buona parte di Georgescu stesso. Alle elezioni presidenziali la gente vota il candidato, ed è evidente che oggi molti elettori si riconoscano in lui. Tuttavia il suo successo riflette anche il carattere attuale della politica rumena e dei processi sociali che stanno attraversando quasi tutti i Paesi del Sud-Est europeo. L’integrazione nell’UE e nella NATO ha generato una nuova classe politica, uno strato sociale composto da persone legate a partiti, ONG, enti governativi e organizzazioni internazionali. Con il tempo questo strato si è progressivamente alienato dalla popolazione in un processo che ricorda fortemente la formazione della cosiddetta nomenklatura negli Stati comunisti durante la Guerra Fredda. Questa classe politica implementa con fedeltà tutte le strategie e le dottrine promosse dalle strutture sovranazionali, dall’Unione Europea al Forum Economico Mondiale. Per loro non ci sono incertezze: tutti gli interessi nazionali vanno subordinati a queste istituzioni. Al contempo le istituzioni statali, monopolizzate dalla classe politica, sono strutturate essenzialmente in modo tale da rispondere non tanto ai bisogni dei cittadini, quanto a quelli delle organizzazioni sovranazionali. La classe politica, nel suo ruolo di custode degli interessi di queste strutture sovranazionali, mantiene la propria funzione attraverso l’abuso delle istituzioni statali. Da un punto di vista teorico questa situazione rappresenta un classico esempio di “Stato catturato”.
La Romania è un membro importante dell’UE e della NATO, oltre a essere un Paese dalle enormi potenzialità. Oggi, tuttavia, si trova a dover fronteggiare due crisi profonde e potenzialmente durature: una crisi di legittimità e una crisi istituzionale. La classe politica non gode più dell’autorità necessaria a governare come in passato e, a causa di continue forme di appropriazione indebita, la fiducia dei cittadini nelle istituzioni si è erosa. Il fenomeno Georgescu rappresenta la dimostrazione di come la maggioranza dei rumeni si sia sollevata contro lo “Stato catturato”, reclamando la liberazione delle istituzioni: un obiettivo realizzabile solo attraverso il completo smantellamento dell’attuale classe politica. Si tratta di una situazione estremamente seria che va ben oltre la mera competizione presidenziale o il destino di un singolo candidato.