Come il re Canuto, Trump non riuscirà a fermare l’ondata che sta affondando Tesla e tutte le auto elettriche
Mille anni fa il leggendario re Canuto (antica incisione a sinistra) ordinò alle onde del mare al largo della costa inglese di invertire la direzione e ritirarsi. Ma le onde non gli diedero ascolto.
L’11 marzo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tentato un’impresa analoga, esortando gli investitori di tutto il mondo a sostenere il suo caro amico e fidato braccio destro, il miliardario Elon Musk, nel tentativo di preservare la capitalizzazione di mercato della sua colossale azienda di veicoli elettrici, Tesla. Tuttavia, il suo appello è destinato a fallire, proprio come quello del re Canuto. Le azioni di Tesla hanno infatti registrato un crollo di circa il 50%, e la società ha visto dissolversi circa 800 miliardi di dollari dallo scorso dicembre.
Secondo un rapporto pubblicato da mbc.com, “Lunedì 10 marzo, il titolo è precipitato in caduta libera, registrando un calo di oltre il 15% e segnando uno dei peggiori giorni di negoziazione per l’azienda dalla sua quotazione in borsa, avvenuta nel 2010”.
“Il crollo ha spazzato via i guadagni accumulati durante il rally che Tesla aveva registrato dopo la vittoria elettorale di Trump a novembre, quando gli investitori erano convinti che un’azienda guidata dal principale donatore dei Super PAC (Political Action Committee) del presidente eletto rappresentasse un investimento sicuro. Invece, Tesla ha visto svanire oltre il 50% del suo valore di mercato – circa 800 miliardi di dollari – dal picco raggiunto a metà dicembre”, si legge nel rapporto. Anche per l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio netto di 330 miliardi di dollari, una perdita simile resta un colpo pesante.
Musk, nato in Sudafrica, ha condannato con rabbia il diffuso boicottaggio delle sue automobili, scaturito dalla sua frenetica campagna per il licenziamento di centinaia di migliaia di dipendenti del governo federale negli Stati Uniti, in quella che si prefigura come una purga senza precedenti. Trump è persino intervenuto in difesa delle concessionarie Tesla, temendo che potessero diventare bersaglio di atti di vandalismo, terrorismo o altre forme di violenza.
In un primo momento l’esplicito e inaudito sostegno del presidente degli Stati Uniti a una grande azienda sembrava aver dato i suoi frutti, favorendo una discreta ripresa delle azioni Tesla. Ma la fase positiva è destinata a esaurirsi in fretta. Perché, molto semplicemente, non può durare.
L’intero settore delle auto elettriche è sull’orlo di un collasso imminente.
Il vero nodo della questione non risiede nell’enorme, controverso e divisivo ruolo di Musk in qualità di capo del nuovo Dipartimento dell’Efficienza Governativa (DOGE), organismo istituito da Trump, caratterizzato da dimensioni assai ridotte e contorni poco definiti. Né il problema è da ricercarsi nel prodotto in sé: le automobili Tesla hanno rappresentato un progresso straordinario nel settore dei veicoli elettrici e ibridi, superando ogni innovazione precedente e affermandosi come un traguardo di eccezionale importanza. Il vero problema è ben più in profondità. Anche sfruttando al massimo il loro potenziale, le auto elettriche non si rivelano affatto così efficienti o convenienti come hanno lungamente sostenuto i loro difensori e paladini dell’ambientalismo. I limiti imposti dalla fisica, dalla chimica, dall’ingegneria, dal carburante e dalla disponibilità delle materie prime stanno inevitabilmente chiudendo il cerchio.
L’intero settore delle auto elettriche è sull’orlo di un collasso imminente. Né il genio imprenditoriale di Elon Musk, né l’eccellenza ingegneristica a sua disposizione, e neppure il potere del presidente degli Stati Uniti saranno sufficienti ad arginare questa marea. Il tracollo dell’industria automobilistica elettrica – e, con essa, dell’intero comparto cosiddetto “pulito” e delle energie rinnovabili – non è un evento incombente, bensì una realtà già in atto, non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo occidentale.
Più di tre mesi fa il CEO di Rosneft, Igor Sechin (nella foto), aveva messo in luce questa tendenza, mentre Trump, Musk e l’intero mainstream mediatico statunitense erano ancora immersi nella fase della negazione. Intervenendo il 5 dicembre 2024 al Forum Economico Eurasiatico di Verona, svoltosi a Ras Al-Khaimah negli Emirati Arabi Uniti, Sechin ha sottolineato come la fiducia e il sostegno finanziario degli investitori nei confronti delle auto elettriche fossero entrati ormai da tempo in una fase di declino. Secondo il numero uno di Rosneft, la causa principale di questo fenomeno risiede nella scarsità della domanda, attribuibile non tanto all’ostilità popolare verso Musk o Trump, quanto alla natura intrinseca del prodotto stesso. Di conseguenza, ha osservato Sechin, “i principali produttori, Tesla inclusa, sono costretti a vendere in perdita, mentre negli Stati Uniti il prezzo di un veicolo elettrico usato è crollato del 25% in meno di due anni”.
Le cause di questa crisi sono di natura strutturale e affondano le radici nelle caratteristiche del prodotto, ha proseguito Sechin: “Questo perché lo sviluppo delle capacità di generazione aggiuntiva, delle reti e delle infrastrutture di ricarica non procede in modo sincronizzato con l’elettrificazione del parco veicoli, creando già oggi non poche difficoltà ai proprietari di auto elettriche”.
Sechin ha inoltre evidenziato che “in futuro, i nuovi veicoli elettrici dovranno contendersi l’accesso all’energia con i data center, il cui fabbisogno elettrico supererà i 1.000 TWh (terawattora) già entro il 2030”.
L’ironia della situazione delineata nell’analisi di Sechin risiede nel fatto che Musk sia un convinto sostenitore della sostituzione di centinaia di migliaia di lavoratori del governo statunitense con sistemi di intelligenza artificiale (IA). Tuttavia, tali sistemi non sono ancora stati costruiti né sviluppati su larga scala. Eppure, proprio come accade per le sue automobili Tesla, la visione futuristica del miliardario procede a un ritmo decisamente più rapido rispetto all’infrastruttura esistente e alla reale capacità di generazione energetica.
Secondo la spiegazione di Sechin, la base industriale degli Stati Uniti è in fase di progressivo declino e non dispone nemmeno lontanamente delle capacità necessarie per sostenere la produzione dell’enorme quantità di nuovi veicoli stradali richiesta. Questa carenza è particolarmente evidente nel settore dei camion da trasporto e nell’infrastruttura elettrica indispensabile al loro funzionamento.
“Un’altra sfida da non poco sarà la conversione all’elettrico del trasporto merci su strada, aereo e marittimo. Per conseguire gli obiettivi della transizione energetica entro il 2050, il numero di veicoli elettrici destinati al trasporto merci dovrà crescere di oltre cento volte, superando la soglia dei 40 milioni. Un traguardo che appare tutt’altro che realistico”, ha affermato con decisione il presidente di Rosneft.
In effetti, come sottolinea con implacabile franchezza Sechin, sta crollando il concetto stesso di sostituire i combustibili fossili con l’energia elettrica per ogni tipologia di veicolo. Le principali aziende energetiche occidentali hanno già visto sfumare centinaia di miliardi di dollari investiti in questi progetti avventati e si trovano costrette a confrontarsi con la dura realtà. Di fronte alla fredda evidenza dei fatti, neppure le dichiarazioni di Trump e Musk potranno opporsi all’inesorabile logica del mercato. Oggi le loro affermazioni ricordano le rassicurazioni del presidente statunitense Herbert Hoover, che novantacinque anni fa proclamava la solidità incrollabile del mercato azionario e dell’economia americana proprio mentre entrambi sprofondavano nell’abisso della Grande Depressione.
“Nella vita reale il mondo degli affari vota attraverso il denaro e il “dollaro verde” scappa dall’agenda green con la velocità della luce”, ha detto Sechin, ricordando che negli ultimi tre anni l’entusiasmo dei mercati azionari occidentali per il settore delle energie rinnovabili è precipitato, mentre il valore delle azioni delle aziende produttrici di carburanti ecologici ha subito un brusco tracollo.
“Le ragioni che spingono gli investitori a questo atteggiamento risiedono nell’incapacità delle aziende dell’economia green di raggiungere gli obiettivi stabiliti entro i tempi previsti, ostacolate, fra l’altro, dall’aumento dei costi, dai ritardi nell’erogazione dei prestiti statali e dalla difficoltà di accedere a nuovi finanziamenti”, ha proseguito Sechin. “Persino i colossi del settore, come Chevron, BP e Shell, stanno sospendendo i loro progetti per la produzione di carburanti alternativi. La principale azienda energetica danese, Ørsted, sta annullando la costruzione di un impianto per la produzione di metanolo a causa della scarsità di domanda”.
Sechin ha anche ricordato la tanto pubblicizzata azienda svedese Northvolt, presentata come il futuro colosso europeo della produzione di batterie. Eppure, nonostante una capitalizzazione pari a 15 miliardi di dollari, la società è stata costretta a dichiarare bancarotta. Anche la Northvolt, dunque, è stata travolta dalle spietate onde del re Canuto.
I californiani devono pagare alcune tra le bollette elettriche più salate degli Stati Uniti.
Le impietose onde del realismo di mercato e dei vincoli ingegneristici hanno travolto persino la più prospera, avanzata e innovativa economia regionale degli Stati Uniti. In tutta la California, i consumatori si sono trovati a dover fare i conti con un rapido aumento dei prezzi dell’energia, frutto di anni di ostinata dedizione all’abbandono di petrolio, gas, carbone e persino dell’energia nucleare per la produzione elettrica, nel tentativo di affidarsi esclusivamente alle fonti solare ed eolica. Oggi, malgrado le rassicurazioni disperate del governatore democratico Gavin Newsom, i californiani sono ben consapevoli di dover pagare alcune tra le bollette elettriche più salate dell’intera nazione, imposte dalle tre principali compagnie energetiche a controllo degli investitori.
Le ragioni delle crisi in California e in Australia coincidono con quelle del crollo delle azioni di Tesla, come illustra l’analisi energetica pubblicata il 3 dicembre dall’autorevole sito Doomberg.com: “Ahimè, proprio come la notte viene dopo il giorno, ogni volta che le fonti rinnovabili di energia elettrica vengono integrate in misura significativa nella rete, ne derivano inevitabilmente bruschi aumenti dei prezzi e carenze di elettricità… Nessuna nazione, nemmeno l’Australia può sottrarsi alle leggi della fisica”, si legge nell’analisi.
Nel mese di giugno 2022, Doomberg ha evidenziato come il mercato nazionale dell’energia elettrica australiano (NEM) sia “andato incontro a un blocco, con la sospensione del commercio spot dell’energia all’ingrosso per nove giorni. Per ristabilire l’equilibrio si è reso necessario un intervento senza precedenti da parte dell’Operatore del Mercato Energetico Australiano (AEMO)”.
Ne è seguito il consueto scambio di accuse: i sostenitori delle energie rinnovabili hanno affermato che la crisi non fosse altro che una dimostrazione della necessità di ulteriori investimenti per accelerare ancora la transizione green. Così la costruzione di nuovi impianti è proseguita in tutto il Paese. E giungiamo ai giorni nostri. «Con l’aumentare delle installazioni eoliche e solari, cresce di pari passo anche l’instabilità del sistema energetico», ha osservato Doomberg.
Il Giorno del Giudizio per i sognatori del green non è all’orizzonte. È già qui.
La crisi è stata dunque innescata dalla scarsità e dalla drastica riduzione della capacità di generazione energetica, derivanti dalla transizione verso queste «magnifiche» nuove fonti di energia rinnovabile e green.
Australia e California dispongono di risorse naturali così abbondanti che si potrebbero persino definire illimitate e (almeno in teoria) di condizioni ideali per lo sviluppo dell’energia solare. Inoltre, negli ultimi centoventi anni, entrambe si sono affermate come due delle società più dinamiche, in espansione e prospere del pianeta, e persino della storia dell’umanità. Tuttavia, le visioni fantasiose del columnist del New York Times, Thomas Friedman, e della giovane attivista svedese Greta Thunberg, sprovveduta e ignorante, riguardo alla presunta “capacità salvifica dell’energia solare ed eolica” hanno messo in ginocchio entrambe queste società e le loro economie, senza che fosse sparato un solo colpo – almeno per ora.
Le stesse forze inesorabili che stanno distruggendo Tesla, emblema dei sogni di Elon Musk, stanno travolgendo anche queste due superpotenze sociali, collocate sulle sponde opposte del Pacifico, dopo una lunga epoca di compiacimento e arroganza. È giunto il momento che il resto dell’umanità si risvegli dall’illusione ingannevole di un paradiso che, in realtà, la sospinge inesorabilmente verso povertà, rovina e distruzione.
Il Giorno del Giudizio per i sognatori del green non è all’orizzonte. È già qui.