Un articolo di: Lorenzo Lamperti

Non solo dazi. Washington, che per decenni ha spinto per eliminare le barriere agli investimenti e al commercio, ha fermato l'acquisizione di US Steel da parte di Nippon Steel per motivi di "sicurezza nazionale". Una decisione presa da Biden e su cui anche Trump, che il 7 febbraio incontrerà il premier Ishiba, aveva espresso parere positivo. Una tensione tra alleati che ha un precedente 37 anni fa

Helen Delich Bentley

Luglio 1987, giardini del Campidoglio. Con il sorriso sulle labbra, la deputata repubblicana Helen Delich Bentley (nella foto) brandisce una grande mazza e si avvicina a uno stereo Toshiba. Al suo fianco, un nutrito gruppetto di colleghi della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. Bentley si avvicina allo stereo e pronuncia un breve discorso ai giornalisti radunati sul posto. “Il tradimento con qualsiasi altro nome è sempre tradimento”, dice. “Ma se avesse un altro nome, quel nome sarebbe Toshiba”. Dopo di che alza la mazza e la abbassa sullo stereo, distruggendolo insieme agli altri. È il culmine della rivalità tecnologica tra Stati Uniti e Giappone. Una delle divisioni di Toshiba aveva venduto un pezzo critico di tecnologia all’ex Unione Sovietica, aiutandola a sviluppare sottomarini avanzati. A Washington la prendono male, sostenendo che Tokyo stesse aiutando lo sviluppo militare di Mosca, aggirando le sanzioni. Era il periodo in cui gli Stati Uniti temevano un sorpasso dell’ex nemico della Seconda Guerra Mondiale. Un timore visibile anche nei prodotti di intrattenimento di Hollywood. Basti pensare al 2015 immaginato da Ritorno al Futuro 2, quando Marty McFly viene licenziato in videochiamata dal capo giapponese. Il Paese asiatico viene accusato di furto di tecnologia americana, di dumping e di politiche economiche sleali, nel contesto di una corsa alla ricerca del controllo delle materie prime. Una schiera di analisti ipotizza persino uno scenario bellico, suggerendo un netto rafforzamento del corpo dei marines per farsi trovare pronti a combattere. È il caso di The Coming War, scritto da George Friedman e Meredith LeBard nel 1991.

Ricorda qualcosa? Già, quello che sta succedendo negli ultimi anni tra gli Stati Uniti e un altro gigante asiatico, la Cina. Sì, perché nel frattempo i cosiddetti “decenni perduti” della stagnazione giapponese e l’ascesa di Pechino hanno riavvicinato Tokyo e Washington. La crisi del 2012 sulle isole contese Senkaku/Diaoyu ha convinto il Paese asiatico della necessità di rivedere e potenziare i suoi sistemi di difesa. La guerra in Ucraina ha fatto abbandonare le tradizionali cautele diplomatiche, che anche durante gli otto anni di amministrazione Abe avevano imposto il mantenimento di profondi legami, non solo commerciali, con Russia e Cina. Dal 24 febbraio 2022 in poi, Tokyo è venuta sempre più allo scoperto. Lo ha fatto soprattutto per il timore di un sempre maggiore allineamento tra Mosca e Pechino, oltre alle crescenti tensioni sulla penisola coreana e sullo Stretto di Taiwan, due teatri in cui il Giappone si sente coinvolto direttamente.

Il Japan Times: La decisione della Casa Bianca mostra che per gli Usa la sicurezza nazionale significa tutto ciò che vogliono loro

Eppure. Gennaio 2025, 37 anni e mezzo dopo quel giorno di luglio 1987: Joe Biden firma un ordine esecutivo che blocca l’acquisizione di U.S. Steel da parte di Nippon Steel. Motivo? La formula utilizzata è la stessa di quando le mazze dei deputati repubblicani infierirono sullo stereo Toshiba: sicurezza nazionale. Il niet del presidente uscente ha sorpreso, offeso e fatto arrabbiare (per usare un eufemismo) il colosso dell’acciaio e il governo nipponico. Improvvisamente, dopo anni di accordi commerciali, diplomatici e militari, le lancette sembrano tornare indietro a quel tramonto di guerra fredda. Una sorta di tradimento, dopo decenni in cui Washington ha esercitato forti pressioni per eliminare le barriere agli investimenti e al commercio. Non è un caso, visto che il Giappone è il primo investitore estero negli Stati Uniti. Il ministro dell’Industria Yoji Muto ha definito “incomprensibile” e “deplorevole” la scelta di Biden, mentre si è sbilanciato persino il premier Shigeru Ishiba, che ha avvertito senza mezzi termini che la rottura dell’accordo potrebbe danneggiare gli investimenti giapponesi negli Stati Uniti. Secondo la Camera di Commercio degli Stati Uniti in Giappone, lo stop potrebbe dissuadere altre aziende straniere dall’aumentare la loro produzione negli Usa.

Il piano prevedeva che Nippon Steel avrebbe acquisito US Steel in una transazione da 55 dollari per azione, pari a un valore patrimoniale di circa 14,1 miliardi di dollari, più l’assunzione del debito, per un valore aziendale totale di 14,9 miliardi di dollari. Nippon Steel ha avviato un’azione legale contro la decisione della Casa Bianca, anche perché il colosso aveva facilitato la strada per l’approvazione adottando attivamente misure di mitigazione, tra cui lo scioglimento delle sue joint venture in Cina e in Alabama con ArcelorMittal. Particolarmente duri anche i media giapponesi. “La decisione della Casa Bianca mostra che per gli Usa la sicurezza nazionale significa tutto ciò che vogliono loro”, scrive il Japan Times. E ancora: “È insolito dichiarare un amico e un alleato una minaccia per la sicurezza, come ha fatto Biden. Non esistono solo gli Stati Uniti”.

Tra l’altro, all’orizzonte si intravedono nuove burrasche commerciali con l’insediamento di Donald Trump, che a sua volta ha dichiarato la sua opposizione all’affare tra Nippon Steel e U.S. Steel. Elemento che lascia difficile immaginare che la lunga battaglia legale avviata presso la Corte d’Appello federale di Washington produca un ribaltamento della decisione di Biden, anche perché la legge statunitense conferisce al presidente il potere di bloccare qualsiasi fusione ritenuta una minaccia per la sicurezza nazionale. Poco importano le rassicurazioni arrivate da Antony Blinken, che nei giorni scorsi si è recato a Tokyo durante quella che è stata la sua ultima missione da Segretario di Stato prima del cambio di amministrazione. Appare evidente che nel team di Biden in molti non fossero d’accordo con il blocco dell’affare. Oltre a Blinken, anche la segretaria al Tesoro Janet Yellen avrebbe provato a convincere Biden a rivedere la decisione, che nei loro timori rischia addirittura di minare l’alleanza militare tra Stati Uniti e Giappone. Quasi 63 mila soldati americani sono di stanza in decine di strutture in tutto il Paese asiatico e Washington ha esortato il Giappone a costruire le proprie capacità di difesa come contrappeso alla crescente influenza e potenza militare della Cina. Ma la vicenda di Nippon Steel potrebbe indurre qualcuno nel governo giapponese a chiedersi perché, pur essendo il principale alleato strategico degli Usa in Asia, sia stato in questo caso trattato proprio come Pechino.

Difficile immaginare che Tokyo possa operare ritorsioni commerciali dirette, ma secondo diversi osservatori il governo giapponese potrebbe smarcarsi dall’applicazione di alcune delle restrizioni richieste dalla Casa Bianca sulle catene di approvvigionamento. Non un elemento da poco, visto che gli Usa hanno coinvolto lo spesso riluttante Giappone in alcune iniziative per limitare l’accesso della Cina alle tecnologie più sensibili o strategiche. Qualche esempio: microchip, intelligenza artificiale,  tecnologia quantistica. Biden ha persino lanciato il progetto dei Chips 4, che nei suoi piani dovrebbe riunire Usa, Giappone, Corea del Sud e Taiwan, con l’obiettivo di costruire delle cosiddette “supply chains democratiche”. Retorica che ora appare più che mai lontana, con l’approssimarsi della nuova ondata protezionista di Trump. Con lo scontro con Nippon Steel, potrebbe dunque diventare più difficile fare pressione sul governo giapponese affinché applichi e faccia applicare le restrizioni statunitensi contro le società cinesi. Sullo sfondo, peraltro, Tokyo si sta preparando a invitare Xi Jinping per quella che sarebbe la prima visita di Stato di sempre del presidente cinese in Giappone, fatta eccezione quella per il summit del G20 nel 2019.

Improvvisamente, nel 2025 rischia di ritrovarsi qualche traccia (o detrito) dello stereo Toshiba del 1987.

Giornalista, corrispondente per i Paesi dell'Asia e del Sud-est asiatico

Lorenzo Lamperti