Se le maggiori economie dell’Unione Europea stanno mostrando una fragilità economica e finanziaria, di gran lunga superiore a quanto si potesse immaginare fino a poco tempo fa, quali sono le prospettive di sviluppo, non solo economico, per i Paesi europei se il presidente Trump dovesse decidere di imporre un sistema di tariffe, che li obblighi a importare petrolio e gas naturale dagli Stati Uniti...
Le jeux sont faits e ora è tutta l’Europa che pagherà. Aspettando di conoscere quali saranno le decisioni e gli atti legislativi di Donald Trump (nella foto) dopo il suo insediamento, una delle poche certezze per il 2025 è la consapevolezza che non solo l’Unione Europea (UE), ma tutta l’Europa sta andando incontro ad una vera e propria crisi. Il susseguirsi di eventi come Brexit, guerre commerciali tra Stati Uniti e Cina, Covid-19, oltre alle scosse geopolitiche dell’ultimo biennio, hanno fatto emergere una fragilità economica e finanziaria, ben maggiore di quanto si potesse immaginare.
Nel 2024, mentre le notizie di chiusure di fabbriche, bancarotte e licenziamenti mostravano le crepe dell’economia tedesca e mettevano in discussione il ruolo di “locomotiva d’Europa” della Germania, la seconda economia europea, quella francese, invece, riusciva a mascherare i propri problemi, capitalizzando l’attenzione, e soprattutto gli introiti, delle Olimpiadi estive tenutesi a Parigi. Si stima, infatti, che queste abbiano contribuito per uno 0,2% al PIL francese, portandolo intorno all’1,1% di crescita per il 2024. Un altro fattore che ha contribuito all’espansione dell’economia francese è stato il contenimento degli aumenti dei costi dell’elettricità elettrica, legato alla politica francese di mantenere attive le proprie centrali nucleari. I prezzi medi dell’elettricità in Francia a fine novembre 2024 si sono attestati intorno ai 98 euro/MWh contro i 102 euro/MWh della Germania e hanno mostrato una significativa diminuzione rispetto al novembre del 2023, quando erano intorno ai 132 euro/MWh. Ciononostante, il prezzo spot dell’energia elettrica in Francia a inizio gennaio 2025, di circa 70 euro/MWh, era ancora di molto superiore rispetto ai livelli di fine 2020, quando si aggirava intorno ai 48 euro MW/h. Sebbene la Francia sia riuscita a contenere l’aumento dei prezzi dell’elettricità, non altrettanto si può dire dei prezzi del gas naturale. A luglio del 2024, infatti, è reso noto che il prezzo medio di vendita del gas naturale per i nuclei familiari era stato aumentato di circa il 12% rispetto all’anno precedente, toccando i 129 euro/MWh, di fatto portandolo agli stessi livelli della Germania. Il peso economico per le famiglie francesi, tuttavia, è più alto di quello delle famiglie tedesche, poiché a parità di potere di acquisto i prezzi sono, rispettivamente, di 110 euro/MWh e di 106 euro/MWh.
Le difficoltà economiche per la Francia hanno cominciato ad emergere già a metà del 2024
Il generale aumento dei prezzi degli approvvigionamenti energetici e delle materie prime, anche fino al 100% rispetto ai prezzi del 2010, sono stati per la Francia, come per tutta l’Europa, uno dei fattori che hanno sospinto la crescita dell’inflazione. A fine 2024 l’inflazione francese si stima che si sia attestata al 2,4%, in linea con quella dell’Area Euro. Ciononostante, sebbene, almeno in teoria, la Francia sembri avere un economia più in salute, anche se di poco, rispetto alla media dell’Unione Europea, +0,9% del PIL su base annua, alcuni dati sembrano mostrare una situazione differente. Secondo la Banca Centrale Francese (FCB) nel novembre del 2024 sono stati registrati circa 65 mila casi di bancarotta, + 20% rispetto allo stesso periodo del 2023, di molto superiori alla media del decennio 2010-2019. I settori più colpiti sono quelli del trasporto, della finanza e quello immobiliare, mentre le società principalmente coinvolte sono quelle di piccole e medie dimensioni. Le statistiche sono impietose anche per quanto riguarda i fallimenti aziendali, oltre 54 mila casi in tutto il 2024.
Le difficoltà economiche per la Francia hanno cominciato ad emergere già a metà del 2024, quando la banca francese BNP Paribas ha dichiarato che, per la prima volta dal 2016, nel periodo tra maggio 2023 e maggio 2024 in Francia erano stati registrati 60 mila casi di insolvenza da parte delle aziende, il numero più alto al mondo. Una ricerca della società finanziaria Coface, pubblicata a settembre del 2024, ha segnalato come i termini dei tempi di pagamento in Francia si fossero dilatati, raggiungendo i 51 giorni rispetto ai 48 del 2023, e fossero del 30% circa più lunghi rispetto a quelli delle aziende tedesche, 32 giorni. L’85% delle aziende intervistate ha, inoltre, dichiarato di aver effettuato in ritardo almeno un pagamento nel 2024. La dilatazione dei tempi di pagamento sembra, quindi, rispecchiare un’acuta difficoltà nel regolare gli obblighi finanziari, mettendo in risalto un equilibrio precario del sistema economico e finanziario nazionale.
Ad acuire una sempre più precaria situazione economica della Francia vi è anche lo stallo politico, creatosi dopo le elezioni lampo indette dal presidente francese nel giugno del 2024.
Il “panem et circenses” delle Olimpiadi estive, tuttavia, ha distolto solo temporaneamente l’attenzione dal vero problema della Francia. A partire dalla seconda metà del 2024 molte aziende francesi hanno iniziato ad annunciare piani di licenziamento e chiusure di stabilimenti. Michelin e Valeo hanno deciso di chiudere due stabilimenti in Francia e di tagliare, rispettivamente, 1250 e 1000 posti di lavoro. Auchan ha deciso il licenziamento di 2000 lavoratori, Airbus di 2500, Dulux del 16% della propria forza lavoro in Francia e anche la banca svizzera UBS ha annunciato che, a causa della congiuntura economica francese sfavorevole, appronterà tagli di posti di lavoro della sua rete in Francia.
Ad acuire una sempre più precaria situazione vi è anche lo stallo politico, creatosi dopo le elezioni lampo indette dal presidente francese nel giugno del 2024. I risultati elettorali, infatti, non hanno decretato un vero vincitore, privando il Parlamento francese di una maggioranza forte in grado di governare il Paese. Nell’arco di sei mesi si è assistito alla capitolazione di due primi ministri, che, in seguito alla mancata approvazione del bilancio nazionale, hanno perso il voto di fiducia in Parlamento. Nel gennaio del 2025 il nuovo (terzo) primo ministro ha presentato all’approvazione del Parlamento francese la stessa proposta di bilancio del suo predecessore, facendo addensare le ombre sul futuro della Francia, che non viveva un periodo di così forte incertezza politica sin dell’inizio della Quinta Repubblica negli anni ’60.
La situazione rischia di peggiorare molto velocemente, poiché i mercati hanno già cominciano a mettere in discussione la stabilità dello Stato francese.
I problemi economici dello Stato francese non sono nuovi, ma alla luce delle nuove norme europee, secondo le quali il debito pubblico dei Paesi membri dell’Unione non può eccedere il 60% del PIL e il disavanzo annuo non può superare il 3% del PIL, la situazione della Francia ha cominciato a destare preoccupazioni. A partire dal 2008 la Francia ha visto esplodere il suo debito, che ha raggiunto il picco nel 2020, per poi ridursi leggermente. Per il 2024, tuttavia, le stime prevedono un nuovo aumento fino al 112% rispetto al PIL nazionale. Le previsioni nel medio termine stimano un’ulteriore crescita del 5% entro il 2026 e il raggiungimento del 124% del PIL entro il 2029. Storicamente il Paese ha registrato un disavanzo pubblico, ma a partire dal 2008 si è assistito ad un significativo peggioramento. Nonostante i tagli alle spese statali per circa 21 miliardi di dollari, ovvero lo 0,7% del PIL, a giugno del 2024 S&P Global Ratings (S&P) ha abbassato il rating creditizio della Francia, portandolo da “AA” a “AA-” e, nonostante abbia mantenuto come “stabili” le previsioni per il Paese, l’agenzia ha dichiarato che il declassamento fosse legato alle previsioni di peggioramento delle finanze statali. Nonostante l’allora ministro delle finanze, Le Marie, avesse difeso le proprie scelte, affermando che fossero state necessarie per salvare l’economia francese sia durante il Covid-19 sia durante la guerra in Donbass, lo stesso ministro, nel corso del 2024, ha dovuto rivedere le stime del deficit statale, aumentandolo dal 4,4% al 5,5% del PIL. A settembre del 2024, poi, Le Marie, in seguito alla sua destituzione dopo il voto di sfiducia al governo, ha ammesso che le finanze pubbliche francesi non sarebbero migliorate nel futuro. L’attuale ministro delle finanze a inizio 2025 ha confermato che il 2024 dovrebbe chiudersi con un deficit 6,1% sul PIL, mentre, secondo le prime stime, il bilancio statale dovrebbe soffrire un disavanzo del 5-5,5% per l’anno in corso.
La situazione rischia di peggiorare molto velocemente, poiché i mercati hanno già cominciano a mettere in discussione la stabilità dello Stato francese. In seguito alle elezioni di giugno del 2024, infatti, si è assistito alla caduta del valore di mercato delle obbligazioni statali, con il relativo aumento dello spread tra i titoli statali francesi decennali e quelli tedeschi, che a inizio dicembre è arrivato quota 0,883%. Nonostante, anche se di poco, i tassi sui titoli di stato francesi sembrano iniziare a scendere, lo spred con i titoli tedeschi non rimane lontano dal massimo di +0,9%, toccato nel 2012 durante la crisi del debito sovrano della Zona Euro. Nell’ottobre del 2024 Fitch ha pubblicato le sue previsioni sulle prospettive dell’economia francese, rivedendole al ribasso e sottolineando, ancora una volta, come le finanze pubbliche rimanessero il problema maggiore per lo sviluppo economico del Paese. A dicembre del 2024, poi, anche la Banca Centrale Francese ha corretto le proprie stime sulla crescita dell’economia nazionale per il 2025, portandola dallo 1,2% allo 0,9%, e rilevando come la correzione fosse dettata dall’instabilità politica e dall’incertezza sullo stato di salute delle finanze della Francia.
Tanto il rallentamento dell’economia, quanto la volatilità dalle obbligazioni statali potrebbero essere fattori di forte pressione per il settore bancario francese. Le banche francesi detengono il 15% del totale del debito nazionale e gli istituti finanziari più grandi, secondo i dati di giugno 2024, avevano a bilancio circa 560 miliardi di dollari in titoli governativi. Se, quindi, il prezzo di mercato delle obbligazioni rimanesse sotto il prezzo nominale ancora a lungo, le banche transalpine si troverebbero a dover affrontare un potenziale rischio di liquidità, causato dalle perdite sul valore dei titoli statali, spingendo gli istituti finanziari a raccogliere fondi sul mercato a tassi di interesse non certo favorevoli ed erodendo così i loro margini di guadagno nel medio termine. Già a fine giugno del 2024 l’agenzia Fitch aveva avanzato l’ipotesi che lo stallo politico avrebbe potuto avere conseguenti negative per il sistema bancario francese, paventando la possibilità di un abbassamento del rating creditizio delle stesse banche. A luglio 2024 S&P Global Ratings ha registrato un aumento del rischio di volatilità per le banche francesi, affermando che la redditività degli istituti finanziari transalpini non avrebbe visto un miglioramento nel breve e nel medio periodo, poiché tanto gli investimenti aziendali quanto, più in generale, l’erogazione di nuovo credito sarebbero stati frenati dalla mancanza di fiducia, legata al perdurare dell’incertezza politica. Mentre S&P riteneva che le banche francesi avessero la liquidità necessaria per far fronte ad eventuali shock di mercato, dello stesso avviso non è stata l’agenzia Moody’s, che, a fine 2024, non solo ha abbassato il rating sovrano francese, ma ha anche declassato i rating dei depositi a lungo termine, del debito senior non garantito e delle obbligazioni a lungo termine di ben 7 banche francesi, tra cui BNP Paribas e Credit Agricole, sottolineando che nel prossimo futuro si attendeva un peggioramento della salute delle finanze pubbliche francesi.
Se, quindi, le prime due economie dell’Unione Europea stanno mostrando una fragilità economica e finanziaria, di gran lunga superiore a quanto si potesse immaginare fino a poco tempo fa, quali sono le prospettive di sviluppo, non solo economico, per i Paesi europei se il presidente Trump dovesse decidere di imporre un sistema di tariffe, che li obblighi a importare petrolio e gas naturale dagli Stati Uniti? Tanto la scelta di vedersi tagliare le proprie entrate, considerato il rischio di una limitazione del proprio export verso gli Stati Uniti, primo partner commerciale, quanto un ulteriore incremento dell’inflazione, a causa dei maggiori costi dell’import energetico, sono, potenzialmente, le cause che porterebbero ad un peggioramento, nel medio termine, delle economie e dei bilanci statali dei Paesi europei, costretti a supplire o alla mancanza degli introiti commerciali o all’aumento dei costi di produzione e, più in generale, dei prezzi al consumo.