I risultati politici del presidente Trump sono brillanti e sorprendenti. I traguardi raggiunti da Musk con Tesla e con il programma SpaceX hanno ampliato in misura significativa le frontiere tecnologiche in settori destinati a rivelarsi cruciali per la sopravvivenza e la prosperità del genere umano. Eppure, entrambi si sono trovati fuorviati dal fascino rigido, disumano, inflessibile e sempre più autodistruttivo dell’intelligenza artificiale.
Il direttore del Department of Government Efficiency (DOGE) degli Stati Uniti, Elon Musk, ha intrapreso con risolutezza un sorprendente processo di smantellamento di centinaia di migliaia di posti di lavoro nel governo federale, lasciando milioni di persone senza entrate e sacrificandole sull’altare dell’intelligenza artificiale (AI). Tuttavia stanno già cominciando a emergere l’assurdità e la cecità insite nella scelta di sostituire il giudizio umano con degli algoritmi inflessibili che sono per loro stessa natura incapaci di vera razionalità.
Il 18 marzo, in uno degli uffici del governo federale del New Jersey, si è formata per quattro ore e mezza una coda di dipendenti federali che, abituati a lavorare da casa, hanno ricevuto l’ordine di presentarsi in sede tutti nello stesso giorno. Nel parcheggio dell’edificio, la cui capienza è pari a 2.000 veicoli, di auto se ne sono radunate 17.000. Questa non è certo ristrutturazione razionale, pianificata e seria. Si tratta di caos deliberatamente provocato.
Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione di quest’anno, il presidente Trump ha dichiarato che, per riprendere il controllo del governo federale, è necessario invertire un decennio – o forse più – di pratiche di esternalizzazione per riportare tutti i dipendenti federali nei loro vecchi uffici centralizzati.
È una banale assurdità. Se costringiamo a tornare in ufficio tutte le persone che da anni, ben da prima della pandemia di Covid-19, hanno ricevuto il permesso di lavorare in smart working, le strade si congestioneranno, ore di tempo potenzialmente produttivo andranno sprecate nei tragitti e il consumo di carburante aumenterà drasticamente. Il loro ritorno in sede non contribuirà in alcun modo positivo al PIL. E di certo non ridurrà la spesa del governo federale. Si tratta semplicemente di una ragazzata, un atto di prepotenza e crudeltà che infligge stress e dolori inutili a centinaia di migliaia di persone oneste e laboriose. Il tutto perché i loro persecutori – che oggi hanno troppa paura di prendersela con neri, ebrei e omosessuali – hanno bisogno di capri espiatori da far soffrire.
L’idea che questo bizzarro ordine esecutivo consenta in qualche modo al presidente e ai funzionari eletti di “riprendersi il controllo del governo federale” è semplicemente ridicola. Secondo me è molto più facile imparare a fare la guerra guardando Star Wars. L’esternalizzazione non ha mai indebolito né compromesso il comando, il controllo e le comunicazioni (le tre “C”) del governo federale, e nessuno di quegli attivisti privi di senno è stato in grado di fornire un solo esempio credibile che contraddicesse tale affermazione.
Trump e Musk hanno inizialmente costruito le loro fortune miliardarie con uno staff ridotto, senza gestire vaste organizzazioni, pubbliche o private, con decine di migliaia di dipendenti.
Trump e Musk hanno costruito le loro fortune miliardarie con uno staff ridotto, lavorando in un ufficio domestico. Nessuno dei due si è mai trovato a dover gestire vaste organizzazioni, pubbliche o private, con decine di migliaia di dipendenti. Non avendo esperienza di questo tipo, non sono semplicemente in grado di comprendere appieno una situazione del genere.
Anche la sacra missione di salvare il bilancio federale e la stabilità finanziaria degli Stati Uniti dalla bancarotta si sta rivelando come una manovra diversiva. Licenziare centinaia di migliaia, se non milioni, di persone impiegate in ruoli utili e necessari, senza distinguere tra posizioni palesemente superflue – che pure non mancano – e quelle realmente indispensabili – assai più numerose – non farà che aggravare ulteriormente il deficit federale. Eppure, né Trump né Musk sembrano voler rinunciare ai 22 miliardi di dollari l’anno che Tesla, il colosso delle auto elettriche fondato da Musk, riceve sotto forma di sussidi federali improduttivi, parassitari e del tutto ingiustificati.
Andrew Cockburn, giornalista veterano di Washington, in un lungo articolo pubblicato sul suo Substack lo scorso 21 febbraio ha evidenziato come si potrebbero risparmiare almeno 50 miliardi di dollari sui principali 17 programmi di difesa, già dichiarati da Trump come sacri e intoccabili. “Miliardi che implorano di essere gettati nel tritacarne, come direbbe Elon Musk”, scrive Cockburn. “Che dire, ad esempio, dei 3,7 miliardi di dollari richiesti dall’Air Force per il missile balistico intercontinentale Sentinel nel bilancio dell’anno fiscale 2025? Senza contare gli ulteriori 1,1 miliardi destinati alla testata nucleare W-87.1 che il missile sarà chiamato a trasportare? E che dire del bombardiere B-21, emblema di inutilità, per il quale quest’anno sono previsti stanziamenti di 2,7 miliardi di dollari?”
La Marina degli USA, prosegue Cockburn, “vuole ricevere 3,3 miliardi di dollari per il secondo dei suoi infelici sottomarini lanciamissili della classe Columbia — ma è già in ritardo di almeno 18 mesi rispetto alla tabella di marcia — e circa 6,2 miliardi di dollari in preacquisti per sottomarini nuovi. A questi si aggiungono altri 2,9 miliardi di dollari destinati all’ammodernamento delle strutture di produzione dei nuclei di plutonio che sono necessari alla fabbricazione di armi nucleari. Si tratta di un’impresa del tutto superflua perfino per gli standard dei laboratori militari che hanno promosso l’iniziativa (dal momento che gli Stati Uniti già possiedono circa 4.000 nuclei che manterranno la loro “utilità” per almeno altri 150 anni)”.
Peraltro nessuno di questi programmi miracolosi è stato veramente realizzato. Si tratta di fondi investiti in progetti che, nella migliore delle ipotesi, vedranno la luce tra anni, forse decenni. Ma anche ammesso che funzionino, non offriranno alcun contributo concreto alla capacità di difesa degli Stati Uniti nel futuro prossimo. E, dopo mezzo secolo di fallimenti targati Pentagono, possiamo affermarlo con certezza: non funzioneranno. Trump e Hegseth non hanno assegnato neanche un incarico tra le centinaia di ex analisti del Pentagono e del Congresso, ufficiali militari in pensione ed esperti ben informati, che per decenni hanno previsto, analizzato e documentato con instancabile rigore tutti questi insuccessi. Neanche un incarico.
Come ha osservato Andrew Cockburn in un’altra analisi intitolata “Rage Against the Machine” e pubblicata su Harper’s Magazine nel febbraio 2025, “la scelta di Trump di assegnare la carica di sottosegretario alla Difesa al magnate del private equity Steven Feinberg è giustificata dai suoi investimenti in aziende appaltatrici del settore difesa, tra cui una società che conduce test su missili ipersonici (una tecnologia con una lunga storia di test falliti). Lo Stato Maggiore, dal canto suo, non avrà certo motivo di rattristarsi per questa nomina, dal momento che difficilmente un imprenditore miliardario attivo nel settore della difesa si opporrà a un incremento dei fondi destinati al bilancio militare”.
Tutto questo sta a dire che in realtà Trump, Musk e il Segretario alla Difesa Pete Hegseth (nella foto) non sono poi così seri ed efficaci nel loro lavoro di contenimento della spesa federale. Non intendono affrontare la voce più rilevante che alimenta una spesa incontrollata: i sistemi ad alta tecnologia del Dipartimento della Difesa, che non funzionano quasi mai. Preferiscono invece prendersela con gli onesti, gli indifesi e i vulnerabili — e, così facendo, minano la propria credibilità agli occhi di coloro che tanto vorrebbero impressionare: gli investitori ricchi e influenti, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo.
Il venir meno dell’efficiente operato del governo federale compromette irrimediabilmente il principale successo del primo mandato di Trump: la creazione di un’economia in forte espansione, trainata da un mercato azionario in rapida crescita.
Stavolta, però, le cose stanno andando diversamente. Nelle ultime sei settimane — questo testo viene scritto il 20 marzo — Wall Street ha perso il 10% rispetto al picco raggiunto all’inizio dell’amministrazione Trump 2.0. E oggi il presidente, che per nove anni ha usato con credibilità gli alti e bassi del mercato come giustificazione e prova dell’efficacia delle proprie politiche, sembra ignorare una serie di inequivocabili segnali d’allarme provenienti da quello stesso mercato.
Il 6 marzo Trump ha dichiarato: “Io il mercato non lo guardo nemmeno, perché a lungo andare gli Stati Uniti saranno molto più forti grazie a quello che accade qui”. Una lungimiranza del genere non è un buon segno per un presidente settantottenne: nella sua lunga e leggendaria carriera imprenditoriale, Trump ha attraversato numerosi alti e bassi, ma è sempre riuscito a risollevarsi e a prosperare proprio perché ha saputo ascoltare, rispettare e seguire i segnali provenienti dai mercati.
Secondo uno dei più grandi strateghi militari statunitensi dei tempi moderni, il compianto colonnello John Boyd dell’Aeronautica statunitense, Trump sapeva capire e agire rapidamente seguendo il proprio ciclo OODA (Observation-Orientation-Decision-Action, Osservazione-Orientamento-Decisione-Azione). Ma il 6 marzo il presidente ha dichiarato con audacia di aver smesso di ascoltare ciò che gli comunicano le osservazioni del mercato, interrompendo deliberatamente e consapevolmente il proprio ciclo OODA. Nel frattempo, il mercato di Wall Street prosegue il suo declino, che ormai è in atto da diverse settimane. E Trump ha abbandonato quel principio guida — dare priorità agli affari e seguire la saggezza dei mercati — che aveva funzionato così bene durante il primo mandato.
Il presidente ha persino dichiarato con orgoglio: “Non si può davvero seguire il mercato azionario. Non ci si può lasciare guidare da esso. Bisogna fare ciò che è giusto. Stiamo costruendo una grande base per il futuro, una grande base”.
Si tratta di un evidente richiamo alla leggendaria promessa del primo ministro conservatore britannico Margaret Thatcher, pronunciata alla conferenza del partito a Brighton il 10 ottobre 1980: “Questa lady non è da girare”. All’epoca, però, la signora Thatcher portava avanti una politica di rigore economico severa ma giusta, fondata su basi storicamente comprovate. Ha ridotto al minimo le spese e i bilanci statali, ma non è mai arrivata a dichiarare guerra all’intero apparato amministrativo e alla struttura della funzione pubblica britannica.
La signora Thatcher ha tagliato con spietata determinazione programmi e spese governative. Tuttavia, lo ha sempre fatto seguendo tempistiche e priorità accuratamente studiate e pianificate. E, come conviene a un politico di alto livello, sapeva sempre quando era ora di cambiare rotta e fare marcia indietro, qualora lei stessa o i suoi collaboratori si fossero spinti troppo oltre. Wall Street e i mercati obbligazionari internazionali hanno già emesso il loro verdetto alla politica 2.0 di Trump e alle decisioni del DOGE, ed è un verdetto devastante. La fiducia degli investitori internazionali negli Stati Uniti è in calo, non in crescita.
Trump e Musk si sono trovati fuorviati dal fascino rigido, disumano, inflessibile e sempre più autodistruttivo dell’intelligenza artificiale.
In un articolo pubblicato il 14 marzo su The Nation, l’autorevole giornalista canadese Jeet Heer ha sintetizzato con efficacia la differenza tra le ottime politiche economiche della prima amministrazione Trump e quelle disastrose dell’attuale mandato: “Al posto di Steven Mnuchin, il principale consigliere economico di Trump è diventato Elon Musk. Le sue origini si trovano nella spericolata Silicon Valley anziché dall’autorevole Wall Street. Musk, oggi incaricato di smantellare lo Stato amministrativo, arriva da un mondo in cui la rottura delle pratiche consolidate e la sinergia tra governo e imprese sono considerate la chiave della ricchezza. Improvvisamente gli studenti brufolosi dell’Università di Stanford — alcuni dei quali sono ancora adolescenti — sono stati chiamati a gestire i tagli nelle agenzie governative”.
Il Libro dei Proverbi ci insegna che una parabola sulla bocca di uno stolto è come una canna: un gracile stelo d’erba che, se usato al posto di un solido bastone per sorreggersi, si piega non appena vi si fa affidamento. Il ricorso di Trump e Hegseth agli algoritmi dell’intelligenza artificiale per colpire i dipendenti federali al Dipartimento della Difesa si inserisce perfettamente in questo schema.
Ho sempre criticato la grottesca deriva catastrofica della politica DEI (diversità, equità e inclusione), soprattutto all’interno dell’esercito statunitense. Tuttavia, il ricorso pigro e immotivato di Hegseth ai programmi di intelligenza artificiale per il controllo dei registri del Pentagono ha già prodotto risultati discutibili, talvolta persino ripugnanti e semplicemente assurdi.
Il compianto Maggior Generale dell’Esercito degli Stati Uniti, Charles Calvin Rogers, leggendario e popolare comandante delle truppe di terra nella guerra del Vietnam, non ha avuto l’occasione di essere onorato al Pentagono nonostante fosse stato insignito della Medaglia d’Onore del Congresso. Il motivo? Perché era di colore, naturalmente. Il sito web del Dipartimento della Difesa ha persino rimosso temporaneamente le pagine dedicate ai leggendari “code talkers” navajo, che giocarono un ruolo decisivo nella vittoria della storica battaglia di Iwo Jima del 1945. Un banner sul sito spiegava che i contenuti erano stati rivisti o eliminati per conformarsi all’ordine esecutivo del presidente Trump su diversità, equità e inclusività. Almeno questo contenuto è stato successivamente ripristinato, ma non prima di aver fatto fare a Trump, Hegseth e a tutto il Pentagono la figura dei vigliacchi meschini, assurdi e razzisti.
Anche il nome della generale dell’Aeronautica statunitense Jeannie Leavitt, prima donna nella storia a comandare uno stormo Caccia, ufficiale esemplare e patriota con un curriculum di tutto rispetto, è stato cancellato dalla memoria in modo orwelliano. Il suo crimine? Appartiene al sesso sbagliato. È una signora, in tutti i sensi della parola.
I nerd adolescenti, i “geni” del software di Elon Musk, erano talmente ossessionati dall’idea di cancellare dagli annali dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti ogni traccia di militari e ufficiali omosessuali o gay da aver rimosso persino una menzione del bombardiere B-29 Enola Gay, quello che sganciò la bomba atomica sulla città giapponese di Hiroshima il 6 agosto 1945. (L’aereo prese il nome dalla madre del pilota, il colonnello Paul Tibbetts Jr).
Il presidente Trump e il signor Musk sono miliardari. I risultati politici del presidente sono brillanti e sorprendenti: in un solo decennio Trump ha trasformato radicalmente le percezioni della realtà politica, economica e industriale degli Stati Uniti. I traguardi raggiunti da Musk con Tesla e con il programma SpaceX hanno ampliato in misura significativa le frontiere tecnologiche in settori destinati a rivelarsi cruciali per la sopravvivenza e la prosperità del genere umano. Eppure, entrambi si sono trovati fuorviati dal fascino rigido, disumano, inflessibile e sempre più autodistruttivo dell’intelligenza artificiale.
È ora che entrambi abbandonino questa strada, prima che li conduca — e l’intera economia statunitense insieme a loro — oltre il ciglio delle Scogliere di Moher. Si trovano nella mia patria, l’Irlanda, e svettano a 214 metri d’altezza.