L'Europa lancia appelli al presidente Donald Trump affinché aumenti le esportazioni di gas amerciano vero il Vecchio continente, ma intanto di nascosto compra dalla Turchia notevoli quantità del gas russo.
La guerra tariffaria del presidente americano Donald Trump ha moltiplicato i rischi di una crisi globale.
Il mercato europeo del gas ha ricevuto un regalo inatteso dagli Stati Uniti che, a detta di molti, potrebbe aiutare gli europei a risolvere un problema che al giorno d’oggi sovrasta tutti gli altri: il riempimento degli stoccaggi, svuotati nel corso dell’inverno, in vista dell’inizio della prossima stagione del riscaldamento.
La guerra tariffaria del presidente americano Donald Trump ha moltiplicato i rischi di una crisi globale. Una crisi che, in modo del tutto naturale, determinerà una contrazione della domanda sul mercato del gas naturale, contribuendo così a ristabilirne l’equilibrio. I rischi di una possibile recessione si sono già fatti sentire: il prezzo del gas naturale sulla piattaforma di scambio TTF è sceso dal picco di 619 dollari per mille metri cubi, registrato il 10 febbraio di quest’anno, al minimo di 380 dollari per mille metri cubi il 9 aprile, segnando una flessione del 37%.
Ciononostante gli imprevedibili effetti collaterali della fase più acuta della guerra tariffaria, avviata da Trump il 2 aprile, lo hanno costretto, già il 9 aprile, a fare marcia indietro e ad annunciare un rinvio di tre mesi nell’introduzione dei nuovi dazi. Gli operatori del mercato del gas hanno accolto questa mossa con un sospiro di sollievo, ritenendo che la recessione in Europa non rappresenti più l’unico scenario possibile per l’evoluzione della situazione.
Certo, il raggiungimento di un equilibrio sul mercato del gas al costo di una crisi in Europa è un “regalo” per modo di dire, con il segno del meno davanti. Ben diversa appare, invece, la decisione della Cina, presa in risposta alle azioni di Trump, di imporre i dazi sull’importazione di merci statunitensi. Di fatto questa misura si traduce nel rifiuto di importare GNL dagli Stati Uniti e si configura come un vantaggio indiscusso per gli europei. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina alimenta infatti la speranza dell’Unione Europea di riuscire a ricostituire le riserve negli stoccaggi sotterranei in vista della prossima stagione di riscaldamento. Questo perché, nella competizione per una risorsa limitata, il suo principale concorrente non solo rinuncerà al GNL americano, ma finirà per fornirlo egli stesso all’Europa.
La rottura dei legami economici tra Stati Uniti e Cina rappresenta lo scenario più probabile, dal momento che nessuna delle parti è disposta a fare concessioni. Di conseguenza, il rifiuto della Cina di acquistare GNL dagli USA e la scelta di rivenderlo ad altri mercati potrebbe diventare una tendenza di lungo periodo. Quali saranno le conseguenze di questa situazione per l’equilibrio tra domanda e offerta in Europa? Ma andiamo con ordine e partiamo dalla ragione per cui, per gli europei, la preparazione alla stagione invernale rappresenta un compito tanto difficile.
Tendenza all’aumento dei consumi a fronte di un’offerta limitata
Secondo gli autori del Global Energy Review 2025 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), il consumo globale di gas naturale nei mercati interconnessi di Europa e Asia è in aumento, mentre l’offerta fatica a tenere il passo. La domanda globale di gas naturale ha raggiunto lo scorso anno il massimo storico grazie a una forte crescita della domanda in Asia. I mercati del gas sono tornati a una “crescita strutturale” dopo un periodo di stallo, si legge nel documento. Nel 2024 la domanda globale di gas naturale è aumentata di 115 miliardi di metri cubi, pari al 2,7%. Per fare un confronto: nel decennio precedente la crescita media annua era di circa 75 miliardi di metri cubi. Tra il 2010 e il 2019, la domanda di gas è cresciuta in media del 2% all’anno, per poi rallentare e raggiungere l’1% tra il 2019 e il 2023.
Nel 2024 il consumo di gas è aumentato con particolare rapidità in India, dove si è registrato un incremento del 10%, ma anche in Cina, con una crescita superiore al 7%. Stando alle stime dell’AIE, la domanda di gas è cresciuta anche in Europa, seppur in misura assai più contenuta: 2,5 miliardi di metri cubi in più, pari a meno di un punto percentuale, trainata principalmente dalla ripresa dei consumi industriali.
La tendenza alla crescita è proseguita anche quest’anno: secondo i dati dell’AIE, a gennaio in Europa si è registrato un aumento dell’1,8% rispetto allo stesso mese del 2024. Inoltre, i dati del Gas Exporting Countries Forum mostrano che a febbraio 2025 la domanda di gas nell’UE è cresciuta del 21% rispetto al mese di febbraio dell’anno precedente. Si tratta del sesto mese consecutivo, a partire da settembre 2024, in cui la domanda supera i livelli dello stesso mese dell’anno precedente. Il ritorno delle temperature alla media pluriennale ha provocato un incremento della domanda di riscaldamento negli edifici residenziali e commerciali. Nel frattempo, il calo della produzione eolica e idroelettrica ha aumentato la pressione sugli impianti a gas, chiamati a garantire la stabilità della rete. Inoltre, l’utilizzo industriale del gas è rimasto sostenuto a causa della ripresa della produzione nelle principali economie europee.
I primi dati relativi a marzo 2025, forniti da S&P Global Commodity Insights, lasciano supporre che l’aumento della domanda rispetto ai livelli dello stesso mese dell’anno precedente verrà registrato per il settimo mese consecutivo. Rispetto a marzo dello scorso anno, il consumo di gas naturale è cresciuto del 18% in Francia, del 9% in Italia, del 7% nel Regno Unito, del 5% nei Paesi Bassi e del 2% in Belgio. L’incremento più significativo del consumo di gas naturale è stato registrato nella generazione elettrica: +42% nel Regno Unito, +34% in Italia e +16% in Belgio.
Con l’avvio della stagione estiva l’Europa si troverà a dover affrontare la sfida di riempire gli stoccaggi sotterranei di gas al 90% entro il 1° novembre 2025. La stagione del riscaldamento nell’Unione Europea è iniziata il 22 ottobre 2024 ed è terminata il 27 marzo 2025. Nell’arco di questi mesi, i prelievi netti effettuati dai Paesi dell’UE hanno raggiunto i 63 miliardi di metri cubi. Rispetto ai 38 miliardi dell’anno precedente si è quindi verificato un incremento pari a 25 miliardi di metri cubi.
Nel 2025 le forniture via gasdotto dalla Russia all’Europa attraverso l’Ucraina sono diminuite di 15 miliardi di metri cubi, una contrazione che è stata solo in parte compensata dal transito supplementare attraverso il “TurkStream”. L’Ucraina, peraltro, non solo ha provocato l’interruzione del transito di gas russo verso l’Europa, ma è diventata essa stessa un Paese importatore di questo gas, con volumi pari ad almeno 5 miliardi di metri cubi. Come se non bastasse, l’offerta di gas in Europa si è ridotta di ulteriori 3 miliardi di metri cubi a causa delle sanzioni imposte da Biden nel gennaio 2025 contro gli impianti di GNL a medio tonnellaggio di Vysotsk e Ust-Luga.
Nel frattempo la produzione di gas proprio in Europa è diminuita di 4 miliardi di metri cubi lo scorso anno e, stando ai dati dell’AIE, la discesa non accenna a fermarsi: nel gennaio 2025 è stata registrata un’ulteriore flessione del 6,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Il tutto in un contesto segnato da diffuse previsioni di crescita del consumo globale di gas naturale.
Gli elevati tempi di prelievo registrati durante la stagione del riscaldamento stanno costringendo l’Europa ad acquistare GNL a tempi record in primavera. Nonostante già da inizio anno gli arrivi di GNL abbiano raggiunto livelli mai visti, il riempimento degli stoccaggi sotterranei procede con estrema lentezza a causa delle basse temperature e della scarsa presenza di vento. Il periodo di transizione dalla fase di prelievo a quella di iniezione negli impianti di stoccaggio si è protratto di due settimane. Secondo i dati di Gas Infrastructure Europe (GIE), se al 27 marzo, momento dell’avvio della stagione di iniezione, gli stoccaggi sotterranei di GNL risultavano pieni al 33,6%, al 7 aprile il livello ha raggiunto appena il 35,1%. Questo significa che l’incremento delle scorte procede a una velocità media di appena 0,1 punti percentuali al giorno.
Va inoltre tenuto presente che, a causa dei ritardi nell’avvio dei progetti di liquefazione ed estrazione, l’AIE prevede che quest’anno l’offerta globale di GNL aumenterà di soli 25 miliardi di metri cubi. La competizione per assicurarsi questi volumi di gas sarà intensa. Secondo le stime degli analisti di Kpler, per raggiungere il livello di riempimento degli stoccaggi al 90% sarà necessario attrarre in Europa 250 carichi aggiuntivi di GNL. In questo scenario, la decisione della Cina di rinunciare all’importazione di GNL statunitense potrebbe sembrare un vero e proprio regalo per i consumatori europei. Ma è davvero così?
Il “regalo” cinese non va sopravvalutato
Già dopo il primo episodio della guerra tariffaria, la Cina non ha esitato a reagire e il 7 febbraio ha introdotto, quale misura di ritorsione simmetrica contro Trump, dazi del 25% su tutte le merci statunitensi, incluso il GNL. Dal 3 aprile i dazi sono balzati al 125%. La facilità con cui il governo cinese ha rinunciato al GNL statunitense è legata al fatto che i volumi in questione non sono vitali per il fabbisogno energetico complessivo del Paese, sebbene la loro assenza possa creare qualche difficoltà ad alcuni importatori cinesi. Nel 2024 la Cina occupava il settimo posto nella lista degli acquirenti di gas naturale liquefatto statunitense: su un export complessivo di 124 miliardi di metri cubi, solo 6 miliardi di gas americano erano destinati al mercato cinese.
Va ricordato che non è la prima volta che la Cina rinuncia al GNL statunitense. Durante il primo mandato presidenziale di Trump, in risposta ai dazi imposti sulle merci cinesi nel 2018, la Repubblica Popolare Cinese ha praticamente azzerato le importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti nel periodo compreso tra aprile 2019 e aprile 2020 (si veda il grafico). Ciò è avvenuto nonostante gli acquirenti cinesi fossero vincolati agli impianti statunitensi di liquefazione del gas naturale da contratti di fornitura di medio e lungo termine. Il gas veniva infatti acquistato negli Stati Uniti con clausole FOB oppure con altre condizioni flessibili in merito al punto di consegna, il che consentiva alla parte cinese di reindirizzarlo verso un qualsiasi Paese a sua scelta. In questo modo gli acquirenti cinesi svolgevano di fatto il ruolo di operatori di portafoglio o aggregatori sul mercato globale del gas. Una quota significativa del GNL statunitense contrattualizzato dalla Cina è finita così in UE, dove per ragioni ideologiche si è scelto di rinunciare ai contratti di lungo termine.
Degno di nota è il fatto che i volumi più consistenti di GNL statunitense siano stati importati in Cina nei periodi di prezzi bassi, ossia nel 2020 e nel 2021. Negli anni successivi si è verificato un reindirizzamento attivo delle forniture di GNL, ricevute dalle aziende cinesi sulla costa atlantica degli Stati Uniti nell’ambito di contratti vincolanti, come parte di un processo di ottimizzazione del portafoglio contrattuale di GNL. A partire da febbraio 2025 il reindirizzamento dei volumi avviene sotto la pressione delle condizioni imposte dalla guerra tariffaria. Si tratta, evidentemente, di una misura forzata che riduce le possibilità di ottimizzazione del portafoglio.
All’inizio dell’anno corrente il portafoglio di contratti di lungo e medio termine detenuto dagli acquirenti cinesi di GNL statunitense era stimato in 31,3 miliardi di metri cubi, vale a dire una quantità di cinque volte superiore ai volumi di GNL che la Cina ha importato lo scorso anno. Quindi, per le aziende cinesi operare nel ruolo di aggregatori non costituisce certo una novità. E i volumi mancanti del GNL statunitense potranno essere riempiti da acquisti supplementari di gas naturale liquefatto in Australia, in Qatar nella Federazione Russa, nonché dal gas del gasdotto “Forza della Siberia”. Nel 2025 le forniture tramite il gasdotto “Forza della Siberia” potrebbero superare i 38 miliardi di metri cubi, contro i 30 miliardi registrati nel 2024. Di conseguenza, l’effetto positivo per le imprese europee derivante dalla rinuncia cinese al GNL statunitense sarà trascurabile, poiché non si tradurrà in un’aggiunta di nuovi volumi di gas, ma rappresenterà perlopiù una semplice redistribuzione dei volumi già esistenti sui mercati mondiali del gas.