Dopo la dichiarazione della legge marziale da parte di Yoon Suk-yeol la democrazia ancora giovane della Corea del Sud ha vacillato e la politica ha testato i suoi limiti. Ora, in un Paese estremamente polarizzato, ci saranno le elezioni anticipate che decideranno anche i rapporti con Giappone, USA e Corea del Nord
Dalla primavera del 2022, quando è entrato in carica, Yoon è sempre stato una “anatra zoppa”
Alla fine, l’azzardo con cui aveva provato a prendersi tutto si è davvero rivelato il boomerang che lo ha fatto cadere. Yoon Suk-yeol non è più il presidente della Corea del Sud. Venerdì 4 aprile, 121 giorni dopo la notte tra il 3 e 4 dicembre scorsi in cui impose la legge marziale, la Corte costituzionale ha confermato la sua destituzione. “L’impeachment è confermato all’unanimità”, hanno detto i giudici, al termine di 23 minuti di lettura del dispositivo, all’interno di un edificio blindato da filo spinato, barricate e circa settemila agenti. Già, perché alla vigilia i sostenitori di Yoon avevano minacciato di assediare la Corte, qualora il verdetto fosse stato negativo. Per ora non è successo, anche se già nel fine settimana si sono succedute diverse proteste a Seul, di chi sostiene che la rimozione dell’ex leader conservatore non sia valida.
Fino alla fine, Yoon non ha mai rinnegato la scelta della legge marziale, che ha sempre difeso come un “atto legittimo di governo” per superare una “crisi nazionale” dovuta all’ostruzionismo di un’opposizione di presunti collaboratori con la Corea del Nord. Accuse che coprivano soprattutto il desiderio di rompere l’impasse in cui la sua azione governativa è entrata sin dal primo giorno di presidenza. Dalla primavera del 2022, quando è entrato in carica, Yoon è sempre stato una “anatra zoppa”. E il suo passo si è fatto ancora più incerto dopo le elezioni legislative dello scorso aprile, quando l’opposizione del Partito Democratico ha ampliato la sua maggioranza parlamentare. Risultato: contrapposizione radicale, scambi di accuse e veleni continui, in un clima politico fortemente polarizzato e dai toni violenti.
“La resistenza civile è stata cruciale per il mantenimento della democrazia”, hanno detto i giudici
Certo, nessuno si immaginava che, dopo aver utilizzato un numero record di volte il suo potere di veto, Yoon imponesse una legge marziale, la prima dopo la democratizzazione iniziata nel 1987. In tanti hanno subito ricordato i massacri del passato. Gli esempi sono numerosi: i centinaia di morti negli scontri tra cittadini e polizia del 1960, dopo la legge marziale proclamata dal dittatore Syngman Rhee. Oppure la strage di Gwangju del 1980 (165 vittime ufficiali, tra le 600 e le 2300 secondo diversi studi indipendenti), quando la città si era ribellata al golpe militare del generale Chun Doo-hwan.
Invece è successo. “I poteri di emergenza sono stati usati senza giustificazione legale”, ha chiarito la Corte costituzionale. La reazione della società civile era stata forte e immediata. Centinaia di persone hanno protetto col loro corpo l’edificio dell’Assemblea Nazionale, simbolo della divisione dei poteri, mentre i militari facevano irruzione per provare a fermare il voto parlamentare con cui è stata avanzata la richiesta di revoca della legge marziale. Uno sforzo riconosciuto dai giudici: “La resistenza civile è stata cruciale per il mantenimento della democrazia”, hanno detto, dopo aver definito “azioni contrarie ai principi costituzionali” quelle di Yoon e dei suoi fedelissimi. Decisive le prove secondo cui il presidente aveva ordinato ai militari di fare irruzione nel parlamento e trascinare fuori i deputati, impedendo il voto con cui è stata approvata la richiesta di rimozione della legge marziale. Non solo. Yoon ordinò alle truppe di confiscare dati e documenti presso la commissione elettorale.
Eppure, nei quattro mesi che hanno separato la notte della legge marziale e la sentenza della Corte costituzionale che rimuove definitivamente Yoon, è successo di tutto. La democrazia ancora giovane della Corea del Sud ha paurosamente vacillato. Il clima di veleni si è moltiplicato. Il Partito del Potere Popolare al governo ha a lungo provato a difendere Yoon, nonostante le iniziali divisioni. Il primo voto di impeachment è andato a vuoto, il secondo è andato a segno. Ma l’establishment del partito ha adottato una linea vittimista in cui ha preferito presentare la rimozione dell’ex procuratore generale come un passo eccessivo. Il tutto per calcoli tattici che si sono rivelati sbagliati. La scorsa settimana, infatti, il leader dell’opposizione Lee Jae-myung è stato assolto in un processo per dichiarazioni false. In caso di condanna, il capo del Partito Democratico non avrebbe potuto candidarsi alle elezioni anticipate che si terranno entro 60 giorni.
Yoon è rimasto assediato per settimane all’interno dell’ufficio presidenziale, rifiutandosi di collaborare con le indagini o di farsi arrestare nell’ambito dell’indagine penale che lo vede accusato di insurrezione e abuso di potere. Alla fine ha ceduto, al culmine di un’operazione di oltre sette ore con dispiegati oltre tremila agenti. È poi uscito 52 giorni dopo l’arresto. Completo blu scuro, mano alzata in segno di saluto e di vittoria. Passo lento, a osservare e ringraziare le circa 600 persone radunatesi ai due lati della strada per celebrarlo. Viene da chiedersi come sia possibile che possa essere celebrato il rilascio dal carcere dell’uomo che ha inviato l’esercito in parlamento e puntava a prendere il controllo totale dei media, impedendo ogni forma di protesta o assembramento pubblico. La risposta si intreccia a un clima avvelenato, con l’aggressivo bipolarismo degli ultimi anni che si è estremizzato portandosi su posizioni ancora più radicali. Soprattutto lo hanno fatto i sostenitori di Yoon, che hanno assunto una serie di slogan trumpiani come “Stop the Steal” e hanno iniziato a citare l’assedio a Capitol Hill come un esempio da seguire. Proprio a quell’episodio sembra richiamarsi Kim Yong-hyun, ex ministro della Difesa e grande architetto della legge marziale, che dal carcere ha inviato una lettera aperta ai sostenitori di Yoon chiedendo di “eliminare” i giudici di orientamento democratico della Corte costituzionale in caso di verdetto negativo. Cosa ancora più grave: la lettera è stata letta durante un comizio di un deputato del partito di maggioranza.
Ma la stessa opposizione non ha certo aiutato una pacificazione. A fine dicembre, i parlamentari del Partito Democratico hanno messo sotto impeachment anche il premier Han Duck-soo, che nel frattempo era diventato presidente ad interim. Risultato: tre capi di Stato nel giro di due settimane, con i poteri temporaneamente trasferiti a Choi Sang-mok, prima che un paio di settimane fa la Corte costituzionale rimettesse al suo posto Han, accusato di temporeggiare sulla nomina dei giudici chiamati a decidere sulla sorte di Yoon. L’episodio ha però lasciato uno strascico insidioso, perché gli adepti di Lee hanno utilizzato l’impeachment come una clava per sbarazzarsi degli avversari politici, piuttosto che maneggiarlo con cura come sempre fatto in passato, invocandolo solo in situazioni davvero gravi. Risultato: un forte rischio di depotenziamento e ulteriore erosione del sistema democratico sudcoreano già enormemente minacciato da Yoon. Insomma, è come se la politica sudcoreana avesse testato i limiti del sistema democratico del Paese, mostrandosi disponibile a superare anche le linee rosse per motivi di tornaconto personale.
Entro due mesi ci saranno nuove elezioni, gli ultimi due presidenti espressi dal Partito popolare: Yoon e Park Geun-hye sono stati rimossi dalla Corte costituzionale
È in questo clima di sospetti e tensioni che si aprirà a breve la campagna elettorale. Entro inizio giugno si terranno le elezioni presidenziali anticipate. Le implicazioni della destituzione di Yoon hanno una portata anche internazionale. Negli anni scorsi, il presidente aveva enormemente rafforzato l’alleanza militare con gli Stati Uniti e aveva siglato uno storico documento di partnership con la Nato. Aveva anche appianato le storiche divergenze col Giappone, su pressing della Casa Bianca, pur di inserirsi nell’alleanza di contenimento della Cina. Prima della legge marziale, Yoon stava persino preparandosi a cambiare una vecchia legge che impedisce l’invio di armi a Paesi in guerra, per spedire assistenza militare in Ucraina.
Il Partito del Potere Popolare dovrà scegliere un candidato presidente. I nomi sono parecchi e all’interno del campo conservatore non sarà semplice né trovare unità, né ritrovare la fiducia della maggior parte degli elettori, dopo che gli ultimi due presidenti che ha prodotto (Yoon e Park Geun-hye, nel 2013) sono stati rimossi dalla Corte costituzionale. Il favorito sembra il Partito Democratico di Lee. Ecco, una sua vittoria cambierebbe davvero tutto. Il Partito democratico è tradizionalmente su posizioni dialoganti con la Corea del Nord e propone una maggiore equidistanza tra Usa e Cina. Lee lo fa all’ennesima potenza, visto che è su posizioni più radicali dei suoi predecessori alla guida del partito. Vacillerebbe il disgelo col Giappone, mentre Trump sarebbe incentivato da Seul a riaprire il tavolo con Kim Jong-un.
Ma prima c’è da superare una campagna elettorale dove non mancano i rischi. Negli scorsi mesi ci sono stati vari episodi preoccupanti. Tra questi, l’emergere di un gruppo che si è ribattezzato Baekgoldan, che significa letteralmente “squadra del teschio bianco”. In Corea del Sud quella parola evoca brutti ricordi. In particolare, riporta indietro al 1985, quando la democratizzazione del Paese asiatico non era ancora stata avviata e le ferite del massacro di Gwangju (165 morti ufficiali, tra i 600 e i 2300 per gli attivisti) erano ancora apertissime. La Baekgoldan era stata istituita dall’Agenzia di polizia metropolitana di Seoul nel 1985. All’epoca, i manifestanti non erano visti come liberi cittadini la cui sicurezza andava tutelata, ma come criminali che resistevano all’autorità dello Stato. A metà degli anni ’80, gli squadroni del teschio bianco servivano come guardie del corpo per gli alti ufficiali della dittatura militare. Nel 1987 inizia la transizione democratica, ma alcuni elementi del vecchio regime sopravvivono. Tra questi la Baekgoldan, che continua a mantenere un approccio autoritario. Nel 1991, venne picchiato a morte con tubi di ferro uno studente universitario di 19 anni. Anche uno studente universitario di 24 anni che partecipava a una manifestazione per commemorare lo studente scomparso, alcuni mesi dopo, morì dopo essere stato picchiato indiscriminatamente dalla squadra mentre fuggiva dai gas lacrimogeni. I nuovi Baekgoldan si sono schierati a difesa di Yoon e vedono la sua rimozione come illegittima. In seguito all’ondata anti femminista utilizzata dal leader rimosso per vincere le elezioni del 2022, nelle scorse settimane c’è stato anche un episodio di aggressione a delle studentesse universitarie che manifestavano contro Yoon in un campus universitario. Mai come in Corea del Sud il voto si sta dividendo per genere. Alle presidenziali del 2022, il 58% delle donne under 30 ha votato per i progressisti e il 33% per i conservatori. Percentuali esattamente opposte per gli uomini della stessa età. La tendenza potrebbe consolidarsi al voto di inizio giugno.
La speranza è quella di evitare violenze. Lee, sopravvissuto a un accoltellamento durante un comizio del gennaio 2024, gira col giubbotto antiproiettile dopo aver ricevuto diverse minacce. Saranno mesi decisivi per stabilire il futuro della democrazia della Corea del Sud. La società civile è chiamata a dare ancora una volta un esempio migliore della classe politica.