Con il mutare delle circostanze in tutta l’Europa, le cose cambiano anche nei Balcani. Donald Trump, la crisi dell’Unione Europea e il graduale collasso della strategia occidentale in Ucraina sono tutti temi nuovi che si aggiungono all’ordine del giorno Incluso il tema delle nuove alleanze militari.
La Serbia e l’Ungheria hanno sottoscritto un accordo di cooperazione strategica in materia di difesa. Per ora la cooperazione fa riferimento ad ampi scambi tecnico-militari e acquisti di armi. Resta però incerto quale direzione prenderà in futuro, dal momento che l’intesa tra Belgrado e Budapest è semplicemente una reazione agli eventi di due settimane fa. I ministri della Difesa della Croazia, dell’Albania e della cosiddetta Repubblica del Kosovo hanno firmato una dichiarazione sulla cooperazione in materia di difesa e sicurezza. Il contenuto del documento dedica particolare attenzione alla cooperazione tecnico-militare, alla compravendita di armi ed equipaggiamenti, alla formazione e all’addestramento del personale, nonché alla neutralizzazione delle minacce ibride e al rafforzamento della resilienza strategica. Si apre così una nuova “corsa politica”, che trova oggi espressione anche nel campo della cooperazione militare: da un lato croati e albanesi, dall’altro serbi e ungheresi.
Va detto che la mossa di Zagabria, Tirana e Pristina ha sorpreso tutti, soprattutto a Belgrado. Se sul piano della prassi politica le azioni degli albanesi possono risultare sgradevoli, dal punto di vista della teoria (geo)politica appaiono, tutto sommato, chiare e comprensibili. Più problematiche sono invece le azioni dei croati, che non risultano né chiare né comprensibili.
In teoria, per risolvere la questione dello status del Kosovo e della Metochia, che resta aperta nonostante le numerose campagne, le pressioni, le interpretazioni distorte di accordi e contratti, la corruzione, gli abusi e svariati altri espedienti, la Serbia dispone di diverse opzioni sia sul piano interno, che su quello della politica estera. Sul fronte della politica estera queste opzioni includono non solo l’intensificazione del dialogo con l’amministrazione di Donald Trump, ma anche il mantenimento di contatti stabili con Mosca e Pechino, entrambe coinvolte e interessate alla questione. Visti i recenti cambiamenti a Washington, l’élite politica albanese è consapevole del mutamento delle circostanze in atto: il vecchio piano volto a “spingere” la cosiddetta Repubblica del Kosovo nella NATO è ormai fallito del tutto, e si rende pertanto necessaria, per ogni evenienza, l’imitazione di una qualche “exit strategy”. Due sono le strade realistiche che si possono intraprendere a tale scopo.
La prima consiste nel riunire un numero maggiore di Stati balcanici in quella che si configura come un’“alleanza anti-serba”, includendo certamente o il Montenegro o la Macedonia del Nord (oppure entrambi gli Stati), ma anche alcuni “attori più rilevanti” in un più ampio contesto regionale. Poiché Grecia, Romania e Ungheria sono escluse dalla categoria di “attori rilevanti” per una serie di ragioni, in qualità di potenziali partecipanti restano la Bulgaria e la Turchia. Per quel che ne sappiamo, pare che i bulgari siano stati consultati, ma non abbiano trovato il loro posto all’interno di questa “mini alleanza balcanica”. A Sofia ci sono indubbiamente politici che appoggiano questo tipo di approccio, ma non rappresentano la maggioranza (almeno per il momento). Quanto alla Turchia, un suo eventuale sostegno a questa forma di cooperazione militare causerebbe un autentico scossone e darebbe vita a una realtà geostrategica completamente nuova. La conseguenza sarebbe che, prima o poi, e senza alcuna esitazione, la Serbia si troverebbe costretta ad “aprirsi” completamente alla Russia e alla Cina, approfondendo ogni possibile forma di cooperazione militare con queste grandi potenze. Possiamo solo immaginare le ripercussioni di una simile configurazione nell’area balcanica. In ogni caso, la “modesta formattazione” di questa alleanza nella sua fase iniziale lascia intendere che il contesto internazionale stia mutando in maniera irreversibile. Se l’accordo fosse stato siglato una quindicina di anni fa, l’alleanza avrebbe incluso anche la Macedonia del Nord e il Montenegro, insieme alla Bulgaria, e non sarebbe mancato l’esplicito sostegno della Turchia. La Serbia avrebbe ottenuto un certo sostegno dichiarativo da parte della Russia e, forse, anche della Cina, ma le modalità in cui tale appoggio si sarebbe tradotto in termini di pratica politica sarebbero dipese da “mille e uno fattori”.
La seconda strada passa, invece, per un coordinamento indipendente delle attività di Tirana e Pristina, sul quale Belgrado ripone grandi aspettative perché ci si aspetta che i mutamenti del contesto internazionale possano favorire una più marcata articolazione delle “aspirazioni della Grande Albania”, che si esprimeranno attraverso diverse tipologie di accordi reciproci. Sebbene il coordinamento tra Tirana e Pristina sia atteso, a Belgrado risulta talvolta difficile capire se si tratti di una semplice provocazione, di una simulazione calcolata o di un’effettiva minaccia. Questo spiega l’ampio ventaglio di reazioni espresse dai funzionari serbi, che spazia dagli isterici contrattacchi verbali all’indifferenza, passando per le più banali dichiarazioni di circostanza.
In generale, quando si ragiona sulle ipotesi e le opzioni di Belgrado, poco è cambiato, perché tutto si è risolto all’interno di un quadro “binario” serbo-albanese. Alcune opzioni sarebbero più accettabili, altre soluzioni sarebbero più utili, ma questo dipende già da circostanze e fattori futuri che né i serbi né gli albanesi saranno in grado di influenzare. Qual è, in questa “combinazione binaria”, la posizione della Croazia? Che cosa vuole la Croazia? E come dovrebbero interpretarlo i serbi?
Zagabria appare visibilmente preoccupata per l’evolversi della situazione in Bosnia-Erzegovina, ben più di quanto lo sia chiunque a Belgrado, ben più di un numero immenso di persone a Sarajevo. È vero, la Bosnia-Erzegovina è scossa da una crisi profonda. Tuttavia, questa crisi potrebbe essere disinnescata con una mossa molto semplice: l’eliminazione politica di Christian Schmidt. Schmidt ha infatti alimentato il caos con le sue decisioni assolutamente folli, e se i Paesi europei — guidati dalla patria dello stesso Schmidt — intendono farsi coinvolgere in questo caos, significa che ci attendono tempi travagliati. Resta però una possibilità che ciò non accada: non tutti in Europa capiscono le ragioni per cui si debba entrare in questo vortice di caos.
Quasi certamente gli Stati Uniti non prenderanno parte al caos, e Russia e Cina non dovrebbero nemmeno essere menzionate in questo contesto. È altrettanto probabile che, anche tra i bosniaci, ci sia ormai la consapevolezza che Schmidt sia il responsabile della situazione di caos attuale, mentre tra i serbi prevale la speranza che le cose “in qualche modo si sistemino”, senza ulteriori escalation e nuovi scontri. La scelta di aderire apertamente all’alleanza militare anti-serba insieme ai sostenitori dell’idea della Grande Albania significa che Zagabria sta di fatto riattualizzando la crisi della Bosnia-Erzegovina in una maniera nuova. Per la Serbia, dove fino a ieri, almeno guardando all’apparato istituzionale e ai circoli politici più influenti, nessuno avrebbe mai potuto pensare che l’indipendenza della Republika Srpska fosse realizzabile, l’idea di una partizione concettuale della Bosnia ed Erzegovina sta emergendo come un’opzione plausibile almeno ipoteticamente. Certo, tutto ciò permane su un piano teorico e remoto, ma apre comunque lo spazio a una riflessione su questo tema. Perché il “dilemma strategico” per la Serbia, oggi, è rappresentato del posizionamento della Croazia nell’ambito della risoluzione, altamente imprevedibile e particolarmente “stressante”, della questione dello status del Kosovo, affrontata in una nuova modalità e in un contesto internazionale radicalmente mutato. Ma se il “dilemma” è già presente e alimenta il sospetto di possibili complicazioni provenienti da quella parte, è preferibile passare all’offensiva, alzare la posta in gioco e concretizzare le opzioni in una forma differente.
La Serbia considera l’accordo militare tra Zagabria, Tirana e Pristina, come nuovo e quanto minaccioso scenario che può riesumare vecchi conflitti interetnici e interreligiosi.
Per la Serbia, dopo l’accordo tra Zagabria, Tirana e Pristina, questo nuovo scenario rappresenta un classico dilemma di sicurezza, che può manifestarsi nella nostra vita quotidiana in diversi modi. A poco servono le rassicurazioni, secondo cui la suddetta alleanza militare “non è diretta contro terzi” e si limita agli ambiti della formazione militare e della cooperazione tecnico-militare. Del resto, in quale altro modo potremmo interpretare le tesi sul contrasto alle minacce ibride e sul rafforzamento della resilienza strategica? Non si tratta soltanto di contenuti, ma anche di percezioni. Sebbene venga recepito e analizzato diversamente a Zagabria, l’accordo diventerà l’occasione per un cambiamento significativo nella percezione della Croazia da parte dell’élite politica serba. E quando cambia la percezione, cambiano anche gli approcci strategici e le azioni tattiche.
A risultare nuovo e sorprendente, tanto per i croati quanto per gli albanesi, è però il rinnovato avvicinamento strategico tra Belgrado e Budapest. Anche l’Ungheria, infatti, sembra mostrare un interesse crescente per le sorti della Bosnia-Erzegovina e, forse, anche per l’evoluzione futura degli eventi nei Balcani (occidentali). È vero anche che, per il momento, si tratta soltanto di dichiarazioni e accordi (non vincolanti) con obiettivi definiti in termini piuttosto modesti, per cui la portata della cooperazione militare, in entrambi i casi, resta limitata. Va detto però che fino a poche settimane fa questi progetti non esistevano nemmeno. Nessuno avrebbe potuto immaginare la nascita di un nucleo di alcuni blocchi regionali, di natura strategica e/o geopolitica.
Comunque, con il mutare delle circostanze in tutta l’Europa, le cose cambiano anche nei Balcani. Donald Trump, la crisi dell’Unione Europea e il graduale collasso della strategia occidentale in Ucraina sono tutti temi nuovi che si aggiungono all’ordine del giorno. Incluso il tema delle nuove alleanze militari.