Un articolo di: Alessandro Banfi

Il cuore del suo messaggio è per tutti: valica ogni lingua, religione, condizione. La sua eredità è evangelica. La morte di Bergoglio lascia però il mondo nell’angoscia. Chi chiederà ora la pace ai Grandi della Terra?

Francesco è morto dopo Pasqua 2025 coincidente quest’anno, nel calendario della Chiesa orientale ortodossa e in quello della Chiesa cattolica

“Todos, todos, todos”. Capitò alla Giornata Mondiale della Gioventù in Portogallo sentire Papa Francesco ripetere con tutta la forza possibile e per bene tre volte quella parola: tutti. La Chiesa non è “la comunità dei migliori” ma “la Madre di tutti”. Tutti, tutti, tutti. Nessuno escluso. Così nella testimonianza finale di questi ultimi giorni è risuonato il cuore del messaggio di papa Francesco che ci ha lasciato alle 7.35 del Lunedì dell’Angelo, quello dopo la Pasqua 2025. Pasqua coincidente quest’anno sul calendario  della Chiesa orientale ortodossa e su quello della Chiesa cattolica.  Questa volta per caso ma Bergoglio avrebbe voluto rendere per sempre coincidente le due festività nella sua ansia ecumenica. È il “tutti” che risuona anche nella sua enciclica forse più importante, quella sulla fratellanza umana, e che ha scritto dopo la firma della Dichiarazione di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, sottoscritta con l’allora Rettore dell’Università di Al-Azhar Ahmad Al Tayyeb: la Fratelli tutti. Negli Emirati hanno costruito la Abrahamic Family House per ricordare quella firma storica e nel complesso ci sono una chiesa cattolica, una sinagoga ed una moschea. Ed è il tutti che simbolicamente ha voluto abbracciare il giorno di Pasqua, nella sua ultima apparizione pubblica, facendosi portare dalla “Papa Mobile” in mezzo a piazza san Pietro, nell’ultimo bagno di folla, in mezzo alla gente.

In queste ore i giornali di tutto il mondo propongono fiumi di parole per descrivere un pontificato lungo solo dodici anni ma che ha lasciato tali cambiamenti da far pensare ad un contribuito decisivo nei libri di storia. E tuttavia nessuna delle “rivoluzioni” di Francesco è fuori dalla tradizione. Semmai i suoi dodici anni di pontificato hanno risposto, in modo profetico e non sempre accolto o riuscito, a quell’ansia di rinnovamento che le dimissioni del suo predecessore, Benedetto XVI, avevano drammaticamente posto alla Chiesa e al mondo. Una Chiesa vittima di Vatileaks e delle lobby di Curia andava rinnovata anche nella sua struttura gerarchica, proprio nella cosiddetta Curia. Nonostante quello che dicono gli avversari (soprattutto dall’esterno della Chiesa) contro papa Francesco, Bergoglio non ha mai toccato la dottrina, non ha mai modificato quelle “poche cose certe” che sono il nucleo della fede della Chiesa e del popolo dei credenti. Semmai ha rovesciato il paradigma. Proviamo qui a ricordare tre rivoluzioni messe in atto da papa Francesco.

Il primo Papa della storia a chiamarsi Francesco, come il poverello d’Assisi. Una scelta coraggiosa e rivoluzionaria che sottolineava l’opzione per gli ultimi

L’ODORE DELLE PECORE

La prima rivoluzione è stata all’interno della Chiesa. Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, convinse gli altri cardinali nelle Congregazioni prima dell’ultimo Conclave criticando proprio l’autoreferenzialità della Chiesa, il suo essere diventata distante dalla gente. Lì per la prima volta, a Roma, espresse l’idea della Chiesa che deve rischiare ed “uscire”, Chiesa ospedale da campo, Chiesa magari “accidentata” ma non rinchiusa nei suoi recinti. I cardinali di allora scelsero questo uomo “dalla fine del mondo”, come lui stesso disse. È stata la prima volta di un Papa dal Sud del Mondo. Uno che invitava preti e vescovi ad essere veri Pastori che si portano dietro “l’odore delle pecore”. Il primo Papa della storia a chiamarsi Francesco, come il poverello d’Assisi. Una scelta coraggiosa e davvero rivoluzionaria che sottolineava l’opzione per i poveri, per gli ultimi e anche una ostinata radicalità evangelica. Concretamente si capì il cambiamento profondo impresso quando papa Francesco comunicò la sua decisione di non voler vivere più nell’appartamento papale dei Sacri Palazzi, quello alla terza loggia, che fu di Giulio II. Per abitazione scelse due stanze con bagno a Casa Santa Marta, una residenza che ospitava tanti prelati di passaggio in Vaticano. Papa Francesco da allora aprì processi di rinnovamento profondo della Curia: promuovendo ad esempio laici e donne ai vertici dei Dicasteri (cioè dei Ministeri), cambiando le regole della giustizia e anche dell’economia e del bilancio dello Stato Vaticano.

Quella dei migranti fu una grande causa di papa Francesco che lo vide andare controcorrente in questi anni di nazionalismi, egoismi, muri e barriere

LA LOTTA ALLO SCARTO

Nella visione di papa Francesco il messaggio verso gli ultimi e i poveri della Terra non poteva essere disatteso anche nella convivenza mondiale degli uomini. Non a caso il suo primo viaggio, fuori dalle mura vaticane, fu proprio a Lampedusa, dove gettò in mare una corona di fiori per ricordare i migranti morti nel Mediterraneo. Quella dei migranti fu una grande causa di papa Francesco che, diciamo la verità, lo vide andare controcorrente in questi dodici anni di nazionalismi, egoismi, muri e barriere eretti anche dall’Europa e non solo da Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan. Nell’elaborazione della sua visione di “dottrina sociale”, così come è espressa nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli Tutti, un concetto chiave è lo scarto, l’economia dello scarto. Nel dominio della società consumistica e nella crescente logica del profitto fine a sé stesso, papa Francesco ha sempre identificato nell’economia dello scarto una grave colpa collettiva. I migranti sono scartati, così come i portatori di handicap, i bambini non nati, i lavoratori non garantiti, gli emarginati per sesso, religione, politica. Riecheggiando un grande sociologo che non era cattolico, Zygmunt Bauman, Bergoglio vide nell’umanità ridotta a rifiuto un crimine dell’uomo contemporaneo. Bauman, da parte sua, scriveva che la nostra società consumistica ha ormai l’incubo dei rifiuti che non sa più dove gettare e smaltire. Oggi le nazioni, i Grandi della Terra, tendono a considerare un numero sempre più crescente di essere umani degli “scarti” di cui liberarsi: i migranti, i nemici, i poveri, i senza fossa dimora. In una forma crescente di “cattivismo”.

Bergoglio ha sempre rifiutato di essere il cappellano della guerra occidentale contro la Russia, anzi si è adoperato, anche attraverso il cardinal Matteo Zuppi, per il negoziato

LA PROFEZIA DELLA PACE

Papa Francesco l’ha chiamata così: profezia della pace. Ben cosciente che le sue parole erano tanto necessarie quanto spesso inascoltate. Fin dall’inizio del suo pontificato, 12 anni fa, ha avvertito i pericoli di una “guerra mondiale a pezzi” che il mondo non vedeva e non sentiva. E di fronte ai conflitti non ha mai cessato di dire che erano la strada sbagliata per la risoluzione dei conflitti. Come i suoi predecessori, da papa Benedetto XV, quello della Prima Guerra mondiale bollata come “inutile strage”, ha sempre sottolineato che oggi non è più possibile una guerra giusta. “La guerra”, come disse Giovanni Paolo II nel 1991 per l’invasione del Kuwait “è un’avventura senza ritorno”. E lo disse allora, solo due anni dopo la caduta del Muro di Berlino, quando si voleva far credere che la storia era finita, perché trionfava la democrazia Usa in tutto il mondo… Anche papa Francesco non ha mai mollato, suscitando anche tante critiche e tanta rabbia: Bergoglio ha sempre rifiutato di essere il cappellano della guerra occidentale contro la Russia, come in tanti gli chiedevano. Ed anzi si è adoperato, anche attraverso il cardinal Matteo Zuppi, per il negoziato e per il rilascio umanitario dei prigionieri di entrambe le parti. Finché ha avuto forza e fiato ha personalmente telefonato al parroco di Gaza, per essere vicino ai palestinesi. In quella Striscia bombardata da Israele e che ha avuto in un anno e mezzo una quantità enorme di vittime civili. Si potrà dire che papa Francesco è stato inascoltato e ignorato. Ma certo la sua profezia della pace è un processo che non si può fermare. Anche se non è stato ancora del tutto compiuto.

Tutti, tutti, tutti sono importanti agli occhi di Dio: gli uomini che versano in ogni condizione, lingua, religione. Il Papa ci lascia questo compito evangelico, un messaggio che vuole portare a ciascuno e a tutti la carezza del Nazareno.

Giornalista, Autore tv

Alessandro Banfi