Un articolo di: Roberto Graziotto

Lettera di un professore di Liceo che vive e lavora in Sassonia-Anhalt. Scrive: "La Germania occidentale ha invaso la parte orientale, senza valorizzare ciò che di buono esisteva. Così siamo finiti ad essere considerati tedeschi di serie B. Il grande consenso dell'AfD in questa zona è il sintomo di una vera aspirazione alla pace e alla soluzione diplomatica dei conflitti"

Scrivo dall’Est della Germania, precisamente dalla Sassonia-Anhalt, dove vivo da 23 anni. Ho la sensazione che, tanto in Italia quanto nella Germania occidentale, questa parte del Paese, un tempo appartenente alla Repubblica Democratica Tedesca, venga spesso percepita come un problema politico o addirittura come un luogo in cui riaffiorano tendenze naziste.

Anch’io, nei primi anni in questo luogo, avevo in parte l’atteggiamento che Wiebke Hollersen attribuisce al cancelliere in pectore Friedrich Merz: arrivare qui per spiegare alla gente come si vive e come si pensa. Nel 2023, il professore di letteratura tedesca e specialista di Kafka, Dirk Oschmann, ha dato un contributo significativo al dibattito Est-Ovest con il suo libro di grande successo L’Est, un’invenzione dell’Ovest. In questo saggio, denuncia l’atteggiamento della Germania occidentale che, dopo la caduta del Muro, ha “invaso” l’Est a livello universitario, giuridico e industriale, senza valorizzare ciò che di buono già esisteva. Questa lettera nasce proprio dal desiderio di essere un partner, non un controllore ideologico, per le persone che mi vivono accanto. Oschmann mi ha aiutato molto a maturare questa consapevolezza, ma prima ancora di lui è stata la critica serrata di Papa Francesco contro ogni forma di “proselitismo” a farmi riflettere profondamente.

È vero: certi dati elettorali possono alimentare l’idea che si tratta di una svolta a destra. Ma un’analisi più accurata dei risultati del 23 febbraio mostra che qui non si è votato esclusivamente per Alternative für Deutschland (AfD) ma piuttosto per forze anti-sistema. Tuttavia, è innegabile che, con il 37% dei consensi ottenuti nella nostra regione, il partito rappresenti una realtà politica di grande rilievo, che non può essere ignorata.

Dirk Oschmann in “L’Est, un’invenzione dell’Ovest” denuncia l’atteggiamento della Germania occidentale che ha “invaso” l’Est a livello universitario, giuridico e industriale, senza valorizzare ciò che di buono esisteva

A questo proposito, ci si chiede quale impatto avrà tutto ciò sulle possibilità di Friedrich Merz di diventare il prossimo Cancelliere tedesco. La Berliner Zeitung del fine settimana ha sintetizzato la questione con un titolo eloquente: Stopp, Herr Merz“, “Fermati, signor Merz. In un articolo, una delle redattrici del giornale, Wiebke Hollersen, sottolinea come Merz abbia un problema con l’Est della Germania e come, allo stesso tempo, l’Est abbia un problema con lui. La sua figura di conservatore cattolico e neoconservatore, con un passato nel comitato direttivo di BlackRock, appare distante dalle sensibilità di molti cittadini dell’Est, per i quali, ad esempio, il diritto all’aborto è considerato un’acquisizione scontata e non negoziabile.

Ora, in un certo senso, potrei definirmi anch’io un cattolico conservatore, ma certamente non un neoconservatore: non ho mai creduto che la guerra sia la soluzione di tutti i problemi. Allo stesso tempo, pur non ritenendo il diritto all’aborto un’ “ovvietà” – e non per una mera appartenenza alla Chiesa, ma per ragioni filosofiche – comprendo perché molti lo considerino tale. La distinzione tra qualcuno e qualcosa, così come la spiegò il grande filosofo tedesco Robert Spaemann (1927-2018) nel suo libro Persone (Stoccarda, 1996), è per me fondamentale in questo dibattito.

Detto questo, dopo 23 anni trascorsi in questa regione, credo di comprendere le paure delle persone che mi circondano e vorrei provare a spiegarle. Prima di tutto, occorre riflettere su un dato di fatto: qui da noi Alternative für Deutschland (AfD), il Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) e Die Linke insieme detengono, dopo le ultime elezioni, la maggioranza assoluta. E questa maggioranza assoluta è fermamente contraria alla prosecuzione della guerra in Ucraina.

Eppure, i primi passi del Cancelliere in pectore sembrano muoversi proprio nella direzione opposta, verso quella che Ernst Jünger definirebbe una “mobilitazione totale” militare. Per molti miei concittadini, che dopo anni di difficoltà credevano finalmente di aver superato la crisi economica grazie al salario minimo proposto dai socialisti (SPD), questa situazione è fonte di profonda inquietudine. I piccoli vantaggi economici di cui avevano cominciato a beneficiare sono stati rapidamente vanificati dall’enorme spesa pubblica, che ora si destina al riarmo, ed in genere da un’inflazione subita qui da noi in modo più pesante che nell’Ovest della Repubblica federale tedesca.

Vale la pena ricordare che già oggi la Germania è il quarto Paese al mondo per spese militari, con un budget di 86 miliardi di dollari. Solo la Russia (146 miliardi), la Cina (235 miliardi) e gli Stati Uniti (968 miliardi) investono di più nel settore della difesa (dati della Berliner Zeitung).

Friedrich Merz

In Ucraina l’unica opzione praticabile rimane quella diplomatica, non solo per una questione di realismo politico, ma anche per ragioni di idealità

Negli ultimi anni ho seguito con grande attenzione le parole di Papa Francesco sulla guerra, ribadendo il suo insegnamento fondamentale: la guerra non è mai una soluzione. Non ho mai messo in discussione la sua espressione “Ucraina Paese martoriato”. Al contrario, ho cercato di offrire il mio contributo concreto, ad esempio dedicando gratuitamente un anno di lezioni di tedesco a un giovane rifugiato ucraino.

L’argomento principale a favore del riarmo delle singole nazioni – ben diverso dall’idea di una difesa comune europea – è il dovere di proteggere un Paese più debole da un’ingiustiziaTuttavia, come ha spiegato più volte il professore americano Jeffrey Sachs in diversi contesti, la realtà è più complessa e bisogna analizzare le responsabilità di tutti, in una controversia peraltro durata anni. Così come Papa Francesco ci ha ammonito a non interpretare la guerra attraverso la semplice dicotomia della favola di Cappuccetto Rosso.

Credo inoltre che la visione del poliedro, espressa da Papa Francesco nel Parlamento Europeo, non possa essere ridotta alla teoria della molteplicità degli imperi di Alexander Dugin. Il concetto di poliedro implica anche un principio di rispetto e un atteggiamento di servizio da parte dell’impero nei confronti delle nazioni che lo circondano. Allo stesso tempo, neppure la formula proposta da Jürgen Habermas – secondo cui l’Ucraina “non deve vincere la guerra, ma non deve neppure perderla” – mi sembra una risposta sufficiente. A mio avviso, l’unica opzione praticabile rimane quella diplomatica, non solo per una questione di realismo politico, ma anche per ragioni di idealità.

Trovo illuminante la distinzione proposta dal docente italiano Giovanni Maddalena nelle sue riflessioni sulla filosofia del diritto: Tucidide, nel celebre dialogo tra gli Ateniesi e l’isola di Melo, presentava un’interpretazione iper-realista, secondo cui il diritto è determinato dalla forza; l’alternativa idealista, invece, sostiene che la storia sia guidata dalle idee, in particolare dall’idea di giustizia. Spesso si attribuisce a Donald Trump la prima visione, quella cinica e realista, ma questa lettura è quantomeno discutibile. Certamente, in quanto leader di un grande impero, si potrebbe supporre che agisca secondo il principio della forza, ma molte delle sue scelte in merito ai collaboratori che lo affiancano nel governo contraddicono questa interpretazione. Basti pensare a figure come JD Vance, Tulsi Gabbard, Robert Kennedy Jr. e Jay Bhattacharya.

Il giornalista Thomas Fasbender, sulle pagine della Berliner Zeitung, sembra cogliere molto meglio il significato di Donald Trump nel contesto geopolitico attuale, più di quanto non faccia il migliore dei giornalisti della FAZ (Frankfurter Allgemeine Zeitung) Jasper von Altenbockum. Infine, vorrei sottolineare che non è un caso che Alternative für Deutschland abbia sviluppato una singolare sintonia con l’amministrazione Trump, riconoscendovi una possibile alternativa all’attuale assetto europeo e globale. In questo senso, si potrebbe dire che i cittadini che vivono intorno a me abbiano compreso meglio di altri l’importanza della “profezia della pace” di Papa Francesco. Certo, restano le profonde differenze tra AfD, l’amministrazione Trump e il Papa, specialmente sulla questione migratoria. Tuttavia, lo stesso Francesco ha più volte chiarito, durante i suoi viaggi di ritorno in aereo, che migrazione e integrazione sono due facce della stessa medaglia. Forse, allora, un dialogo tra questi poli apparentemente opposti non è del tutto impossibile.

Professore di filosofia, latino e religione in un Liceo in Sassonia-Anhalt (Germania).

Roberto Graziotto