Un articolo di: Nello Del Gatto

USA e Israele sono sempre, giocoforza, alleati fedelissimi ma Donald Trump è un pragmatico e anche Benjamin Netanyahu, ostaggio dell'ultradestra e della necessità di stare a tutti i costi al potere, è anche lui sacrificabile. Ecco la lezione della tregua imposta su Gaza.

Trump è una variabile impazzita e imprevedibile nel panorama politico mondiale. Netanyahu è un politico molto scaltro che sa sfruttare l’occasione

Solo più avanti sapremo se i rapporti tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu sono davvero così buoni come pensa la maggioranza della popolazione. In verità il presidente eletto della Casa Bianca, che comincia il suo secondo mandato a Pennsylvania Avenue, non ama molto Netanyahu. Trump non gradisce chi gli possa fare ombra, non a caso anche i rapporti con Elon Musk sembra stiano deragliando.
Netanyahu è certamente una chiave importante per il Medioriente. Innanzitutto, è il premier più longevo della storia israeliana. Gli Stati Uniti e Israele hanno una viscerale e profonda alleanza e interdipendenza legata da moltissimi fattori, soprattutto economici, militari e di società civile, che prescindono da chi sieda alla Casa Bianca o a Gerusalemme. Dimostrazione ne è l’appoggio incondizionato, nonostante diversi annunci, che Joe Biden, sicuramente non un amico di Bibi, ha dato al Paese ebraico nella guerra a Gaza. Ma Trump è una variabile impazzita e imprevedibile nel panorama politico mondiale. Netanyahu è un politico molto scaltro che sa sfruttare l’occasione. Entrambi hanno in comune di passare su qualsiasi cosa pur di raggiungere il proprio scopo.
Ed è questo che ha portato anche all’accettazione dell’accordo su Gaza. Lo stesso accordo che, nato da Israele, era stato proposto a fine maggio dal presidente Biden in conferenza stampa. Ebbe anche l’appoggio delle Nazioni Unite. Hamas lo emendò, soprattutto sulla questione del corridoio Philadelphi, il confine tra Gaza e l’Egitto da dove, secondo Israele, nella Striscia entrano armi, contrabbando e altro. Inoltre, si impuntò su un chiaro impegno al ritiro delle truppe. Netanyahu non volle andare oltre, dichiarando impossibile un’intesa con queste nuove condizioni. La stessa proposta, fu ripresentata a luglio, ma Hamas non volle neanche sedersi al tavolo. Il tutto è stato poi di nuovo messo sul tavolo qualche settimana fa e si è discusso, anche perché nel frattempo sono cambiate molte cose.

L’architetto americano degli accordi di Abramo sa che con la nascita dello Stato palestinese è più facile l’ingresso saudita. Netanyahu e i suoi ministri coloni sono un ostacolo

Innanzitutto, l’inquilino della Casa Bianca e quella sua minaccia di far scatenare l’inferno se entro il suo giuramento non si fosse raggiunto l’accordo. Cosa che Netanyahu ha fatto, seppur a malincuore viste le condizioni dello stesso e la probabile crisi di governo, per avere crediti da riscuotere. In secondo luogo, la politica israeliana, anche militare, se ha in qualche modo fallito sul versante interno e a Gaza, ha invece ottenuto notevoli risultati all’estero che fanno piacere anche a Washington. L’annientamento di Hezbollah, l’elezione di un presidente libanese filo-occidentale ex capo dell’esercito (che, nella sua prima dichiarazione ha detto che gli unici armati nel Paese dei cedri saranno i militari) così come l’elezione del premier; la mutata situazione in Siria (nella speranza che duri il cambiamento); il ridimensionamento dell’Iran, sono sicuramente ottime cose. Ma il continuare sulla presa di posizione nei Territori, la stretta mortale con l’ultradestra (contraria all’accordo a Gaza spinto da Trump), certamente non sono medaglie sul petto di Netanyahu.
Trump è un pragmatico. E Netanyahu è sacrificabile, se non rientra nel progetto del grande Medio Oriente dove, obbligatoriamente, deve entrare l’Arabia Saudita. L’architetto americano degli accordi di Abramo sa che con la nascita dello Stato palestinese, è più facile l’ingresso saudita. Netanyahu e i suoi ministri coloni sono un ostacolo. Dopotutto, in diverse occasioni nel suo primo mandato, l’inquilino della Casa Bianca aveva riconosciuto che Bibi non avrebbe mai voluto la pace con i palestinesi, tanto da preferirgli pubblicamente il più moderato Benny Gantz. Il quale, in questi giorni era a Mar a Lago. Benjamin Netanyahu non è stato neanche invitato al giuramento e quando mercoledì 15 gennaio su Truth il neo Presidente americano ha annunciato l’accordo per la tregua e la liberazione degli ostaggi, non lo ha mai neanche nominato.
Bibi, come lo chiamano a Tel Aviv, è in un angolo. Trump lo ha obbligato all’accordo, lo stesso di maggio, lo stesso di luglio, che Hamas non aveva voluto e sul quale lui ha giocato per l’approvazione, consapevole che la continuazione della guerra significa la continuazione del suo governo.
Nel novembre del 2023 Hamas liberò una decina di ostaggi al giorno in una settimana, ora Netanyahu ha accettato, dopo una visita lampo dell’inviato per il medioriente di Trump, che avvenga per 33 persone nel giro di sei settimane. Senza neanche la certezza di quello che succede dopo agli altri e dello stato degli ostaggi.
L’America non abbandonerà mai Israele, anche perché, per quello che dicevamo sopra, ne è dipendente. Ma Netanyahu non è Israele. E Trump vuole passare alla storia per l’impossibile: pacificare il Medioriente. Se questo significa sacrificare chi gli ha pure intestato una cittadina nel Golan, ben venga.

Giornalista, corrispondente estero

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