Il leggendario corrispondete di guerra statunitense, Ernie Pyle, scrisse poche settimane prima di cadere il 18 aprile del 1945 sotto il fuoco delle truppe giapponesi durante la battaglia di Okinawa: “Abbiamo vinto questa guerra grazie al coraggio dei nostri uomini e a molte altre cose: grazie alla Russia, all’Inghilterra e alla Cina... Abbiamo vinto non perché il destino ci abbia resi migliori di tutti gli altri popoli. Spero che in questa vittoria la nostra gratitudine possa superare il nostro orgoglio”.
I tetri abomini del nostro mondo sembrano usciti direttamente dalla commedia britannica “Una signora chiamata presidente” (titolo originale “Whoops Apocalypse”), in cui, tra satira e paradossi, si giunge allo scoppio della terza guerra mondiale. Eppure questa vertiginosa discesa nel surreale prosegue indisturbata e oggi ci troviamo a dover assistere ad assurdità così meschine che persino George Orwell e Franz Kafka ne sarebbero rimasti stupiti.
Pochi giorni dopo essere stato accusato di aver minacciato il sabotaggio della parata del Giorno della Vittoria a Mosca, il dittatore ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato alla stampa che il suo regime “non può assumersi la responsabilità” di quello che accadrà il 9 maggio, quando la Russia sarà intenta a celebrare con solennità la fine della Seconda guerra mondiale e la distruzione della tirannia nazista in Europa. Zelensky ha chiaramente lanciato una minaccia di assassinio contro tutti i leader mondiali che parteciperanno alla cerimonia. Ciononostante, Xi Jinping, leader di una delle tre superpotenze termonucleari del pianeta e della nazione più popolosa al mondo, ha confermato la propria presenza a Mosca.
Nel corso di tutto il suo disastroso mandato, Zelensky ha inviato fino a un milione e mezzo di giovani ucraini a combattere in una guerra totalmente inutile contro la Russia, mandandoli incontro a una morte violenta e vana. Nel farlo si è avvalso del sostegno incondizionato di autoproclamati ammiratori ed estimatori dei successori nazisti di Adolf Hitler, presenti nelle formazioni paramilitari sostenute e finanziate dagli Stati Uniti. Ma adesso Zelensky si è superato: ha, di fatto, minacciato di assassinare i leader di due potenze termonucleari mondiali, Russia e Cina. Forse è fermamente convinto che il leader della terza superpotenza, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, non alzerà un dito per fermarlo.
È possibile che la politica di Make America Great Again sia caduta così in basso? Eppure Trump non è affatto solo nel suo silenzio codardo. L’onnipotente e “rispettabile” Unione Europea non solo non ha condannato Zelensky come insulso assassino e teppista terrorista, ma ha addirittura tentato di rafforzare la propria inesistente credibilità esortando i leader dei suoi Stati membri a boicottare le cerimonie di Mosca. Siamo giunti al punto in cui un meschino e piccolo dittatore, insediato a Kiev e supportato da centinaia di miliardi di dollari americani ed europei, cerca di oltraggiare le celebrazioni della vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale. A tale scopo, è arrivato persino a minacciare di morte ospiti di alto rango, tra cui il leader della Cina.
Il Presidente degli Stati Uniti avrebbe dovuto condannare senza esitazione queste ripugnanti provocazioni di natura apertamente terroristica, lanciate da un ex comico che trasforma ogni occasione pubblica solenne — generosamente concessagli dai pavidi leader di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, NATO e Unione Europea — in uno spettacolo di battute sciocche, grottesche e oscene. Invece Trump ha aggravato ulteriormente le lugubri e assurde dichiarazioni di Zelensky. Il 2 maggio, il leader americano ha dichiarato pubblicamente che nessun Paese ha fatto più degli Stati Uniti per contribuire alla vittoria nella Seconda guerra mondiale e sconfiggere la minaccia genocida e intrinsecamente satanica rappresentata dalla Germania nazista.
In un post su X/Twitter, Trump ha dichiarato al mondo intero (nella foto): “Abbiamo fatto più di qualsiasi altro Paese per conseguire la vittoria nella Seconda guerra mondiale”.
Ebbene, signor Presidente, questa affermazione non è semplicemente falsa: è stata pubblicamente smentita persino da quella che voi americani, lei compreso, citate in continuazione come icona della leadership democratica occidentale, Winston Churchill. Durante un brindisi a un banchetto tenutosi al Cremlino nell’ottobre del 1944, Churchill ammise davanti ai leader sovietici che “è stato l’esercito russo a strappare le budella della macchina da guerra tedesca”.
Le parole di Churchill non sono certo un segreto: sono state di dominio pubblico per generazioni. E, a differenza di molte altre affermazioni pronunciate da colui che i britannici venerano quasi come un dio-re, queste parole riflettevano fedelmente la realtà. Durante la Seconda guerra mondiale, l’Armata Rossa sovietica annientò almeno il 90 per cento delle forze tedesche e dei loro alleati nazisti. Un contributo pagato a un prezzo terribile: 27 milioni di morti, tra cui diversi milioni di civili innocenti.
All’epoca il presidente degli Stati Uniti, Franklin Roosevelt, ne era perfettamente consapevole. Fu proprio per questo che autorizzò l’invio illimitato di camion, acciaio, macchinari e, soprattutto, generi alimentari — tra cui oltre cento milioni di scatolette di carne suina speziata, lo “Spam” — per sfamare i popoli sovietici e sostenere l’Armata Rossa, mentre questa annientava i gruppi d’armata nazisti impegnati nel genocidio e nello sterminio di innocenti nell’Est Europa. Appena una decina di anni fa, l’allora presidente degli Stati Uniti, il repubblicano George W. Bush si è recato a Mosca per unirsi al “suo amico” Vladimir Putin — allora, come oggi, presidente della Federazione Russa, — in occasione della parata solenne del 9 maggio, Giorno della Vittoria, per ringraziare personalmente il popolo russo “per il suo sacrificio”.
Perché, dunque, Trump non ha condannato le oscene minacce di Zelensky? Per quale motivo ha preferito, invece, sminuire tacitamente i sacrifici e le vittorie nella Seconda guerra mondiale, ottenute a carissimo prezzo dalla Russia, dalla Cina e da molti altri Paesi? Perché ha scelto il silenzio, mentre Zelensky — complice, sostenitore e alleato di dichiarati nazisti, capo di una ripugnante dittatura a Kiev che ha soggiogato il popolo ucraino, costringendolo, sotto minaccia di morte, a combattere contro la Russia — minacciava apertamente atti terroristici contro ogni legittimo leader mondiale che presenzierà alle celebrazioni del Giorno della Vittoria, dedicate alla distruzione dello Stato nazista e del suo esercito genocida? Come può Trump credere che Putin, o qualunque altro leader russo, possa ormai anche solo per un istante fidarsi delle sue proposte per porre fine alla guerra in Ucraina?
Evidentemente Trump non capisce che, con il rifiuto di condannare Zelensky e le sue ridicole e vuote vanterie sulla presunta gloria e virtù dell’America, ha compromesso ogni sua pretesa di poter negoziare con la Russia e scongiurare la minaccia di una guerra termonucleare globale. Il Presidente degli Stati Uniti non sembra avere la minima consapevolezza del danno che ha già provocato, convinto com’è di essere guidato dalle più nobili speranze, ambizioni e aspirazioni.
In fin dei conti, Trump si è dimostrato nient’altro che un timoroso pacificatore. A dispetto delle roboanti accuse mosse dalla stampa venduta, dai megafoni dei media ufficiali e obsoleti del Regno Unito, degli Stati Uniti e delle pedine della NATO in Europa, Trump non ha affatto assecondato il presidente russo. Al contrario, Trump sembra intento a tranquillizzare proprio quegli stessi media e gli establishment corrotti e disprezzati che regnano sovrani a Washington, Londra, Bruxelles, Parigi ecc: sono questi i poteri che oggi stanno trascinando le loro stesse nazioni verso l’orlo del baratro, verso una guerra globale capace di annientare tutto.
Il Presidente degli Stati Uniti non sta affatto guidando con coraggio il popolo americano, come aveva più volte proclamato e promesso a gran voce. Al contrario, segue a ritroso una folla di nazisti, demagoghi, bugiardi, ignoranti e codardi che, in preda al panico, si precipitano verso l’annientamento globale come i porci di Gadara. Colpisce il fatto che il vicepresidente J.D. Vance e il segretario di Stato Marco Rubio — almeno per il momento — si siano sottratti a questa misera e insignificante parata d’indignazione. Chiaramente stanno cercando di preservare la propria dignità e il senso del decoro sulla scena mondiale.
A differenza di loro, il ministro della Difesa Pete Hegseth continua a impersonare una figura grottesca, altezzosa e vacua, un buffone indegno di altro se non di pulire le latrine di Zelensky. Hegseth non ha tagliato nemmeno un centesimo dagli ipertrofici e inutili bilanci militari da decine di miliardi di dollari, che Elon Musk e la sua parodia orwelliana chiamata Dipartimento dell’Efficienza Governativa (DOGE) non hanno neppure osato sfiorare. Il nuovo ministro della Difesa degli Stati Uniti è ossessionato dall’organizzazione di parate militari sempre più ridicole, costose, infantili, patetiche e assurde, celebrazioni vuote di una supremazia bellica ormai svanita da tempo. E, naturalmente, Hegseth si sta facendo allestire un camerino per il trucco al Pentagono. Privo di cervello, è incapace di capire cosa gli accade intorno.
L’iniziativa di Trump di proclamare l’11 novembre 1918, giorno dell’armistizio, e l’8 maggio 1945, anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, come festività nazionali negli Stati Uniti non solleva obiezioni. Il ruolo svolto dagli USA nella vittoria in entrambe le guerre mondiali fu rilevante e degno di rispetto. Non è tuttavia possibile minimizzare in questo modo l’immenso contributo della Russia e della Cina alla vittoria nella Seconda guerra mondiale, ignorando le colossali sofferenze e gli enormi sacrifici in termini di vite umane sostenuti da entrambi i Paesi nella lotta contro il nazismo.
Ottant’anni fa il più grande corrispondente di guerra americano della Seconda guerra mondiale, il leggendario Ernie Pyle (Ernest Taylor Pyle), offriva una visione totalmente diversa. Scrivendo poche settimane prima di cadere sotto il fuoco delle truppe giapponesi durante la battaglia di Okinawa, Pyle concludeva: “Abbiamo vinto questa guerra grazie al coraggio dei nostri uomini e a molte altre cose: grazie alla Russia, all’Inghilterra e alla Cina, al corso del tempo, e ai doni della natura”. E poi aggiungeva: “Abbiamo vinto non perché il destino ci abbia resi migliori di tutti gli altri popoli. Spero che in questa vittoria la nostra gratitudine possa superare il nostro orgoglio”.
Il presidente Trump e il suo arrogante giullare Pete Hegseth farebbero bene ad attingere alla saggezza eterna delle parole di Ernie Pyle, e devono farlo in fretta.
Come ammonisce solennemente la Bibbia ebraica e cristiana nel Libro dei Proverbi, capitolo 16, versetto 18: “Prima della rovina viene l’orgoglio, e prima della caduta lo spirito altero”.