Un articolo di: Alessandro Banfi

La telefonata dei due presidenti segna un punto di svolta. Per l’Ucraina e non solo. Cadono gli schemi della geopolitica basati sulla nuova Guerra Fredda e sulla contrapposizione fra G7 e BRICS. Ma non bisogna farsi illusioni: le questioni aperte sono tante

Il disgelo di questi giorni fra il presidente americano Trump e Vladimir Putin dà la sensazione di una svolta.

Sarà anche vero quello che si è scritto con una certa irriverenza: il mondo sotto Joe Biden somigliava ad un grande Risiko, con tante guerre in giro per la Terra e i carri armati spostati dagli Stranamore del Pentagono. Il mondo sotto Donald J. Trump ha cambiato invece schema di gioco. Assomiglia di più ad un grande Monòpoly, dove chi vince piazza casette rosse (hotel) in Parco della Vittoria o in Vicolo Stretto. E tuttavia oggi l’immagine appare persino angusta, restrittiva. Per noi poi, che non siamo americani e che restiamo rispettosamente in attesa delle mosse dei Grandi della Terra, è sempre difficile esprimere giudizi nel merito. E tuttavia sarebbe una follia non vedere che il cambiamento impresso da Trump alla gestione delle questioni planetarie ha per ora caratteri più marcati e potenzialmente storici rispetto alla semplice prevalenza della pura logica del “marketer”, del venditore, e del B2B. Il disgelo di questi giorni fra il presidente americano e Vladimir Putin, senza farsi soverchie illusioni, dà la sensazione di una svolta, un turning point, che è qualcosa di più del cambiamento di stile.

Nel lungo colloquio a tu per tu i presidenti americano e russo hanno infatti innanzitutto riconosciuto una necessità reciproca di relazioni. Non è un cambiamento da poco. È forse presto per dire che è finita la nuova Guerra Fredda degli ultimi anni ma è sicuramente reale l’inversione di tendenza. Il solo dialogo diretto fra leader delle Nazioni restituisce infatti un’atmosfera diversa alla geopolitica mondiale. Due gli schemi che in una ora di colloquio sono andati in crisi: quello della divisione del mondo orizzontale fra Est e Ovest, che sotto smentite spoglie ripercorreva la divisione del Muro di Berlino. E quello della contrapposizione fra Occidente e Sud del mondo. Di fatto oggi Trump è il massimo rappresentante del G7 mentre Putin è uno dei leader chiave dei BRICS: il loro incontro svelenisce la sensazione di una contrapposizione che sembrava sempre più inevitabile e odiosa. Si volta pagina.

Purtroppo l’abitudine alla guerra, la corsa al riarmo, il prevalere della forza hanno messo in secondo piano l’arte della soluzione dei problemi per una via di logica e di mediazione.

Il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato di essere d’accordo con Putin nel ritenere che Washington e Mosca potranno trarre grandi vantaggi dalla collaborazione. Trump ha definito la conversazione molto produttiva e ha espresso la speranza che il dialogo sulla risoluzione del conflitto ucraino abbia successo. The Donald ha anche detto, secondo quanto riportato dalla stampa Usa: «Abbiamo parlato della forza delle nostre Nazioni, del grande beneficio che trarremo un giorno dal lavorare insieme. Ma prima entrambi vogliamo porre fine ai milioni di morti nella guerra tra Russia e Ucraina. Il presidente Putin ha anche usato uno degli slogan fortissimi della mia campagna elettorale: il buon senso. Torniamo al buon senso. Entrambi ci crediamo fermamente».

Certo non sono poche le domande che restano e che in queste ore si affollano nelle riflessioni delle Cancellerie di tutto il mondo. Prima questione: il ritorno alla diplomazia e alla politica ci troverà impreparati? Diciamoci la verità: l’abitudine alla guerra, la corsa al riarmo, il prevalere della forza hanno messo in secondo piano l’arte della soluzione dei problemi per una via di logica e di mediazione. Ci hanno rimesso i grandi istituti internazionali e in genere i diplomatici. Ora si tratterà di tornare ad apprezzare il dialogo, la discussione nel merito, l’esame freddo delle circostanze, superando i fantasmi delle facili contrapposizioni. La guerra finisce quando si esamina la posizione del nemico e si cerca di comprenderne le ragioni.

Secondo dilemma: come reagirà chi si sentirà tagliato fuori? È vero che subito dopo il lungo colloquio con Putin, Donald Trump ha cercato Volodymyr Zelensky e ha mandato messaggi agli europei. D’altra parte, bisognerà pur considerare che alcuni Paesi, come la Gran Bretagna con i suoi diversi governi, sia conservatori che laburisti, e oggi anche la Francia di Emmanuel Macron, hanno tenuto una posizione insistita per continuare la guerra, arrivando ad ipotizzare l’intervento sul terreno di truppe di terra europee.

In effetti l’Europa politica si sente oggi tagliata fuori ma, come ha scritto una veterana del giornalismo economico italiano a Bruxelles, Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore, ha solo da guardarsi allo specchio. Scrive infatti: «Se oggi l’Europa è un peso piuma marginalizzato nel grande gioco dei nuovi equilibri globali in gestazione, strapazzata dal rullo compressore dell’America di Donald Trump, esposta a venti e tempeste in arrivo da Russia e Cina, non può che ringraziare se stessa, la propria ignavia e imprevidenza (…). La verità è che anche questa volta l’Europa non ha visto arrivare il nuovo mondo e ci ha messo e ci mette troppo tempo per cambiare: complici le sue cattive abitudini, il vizio congenito di un progetto fatto per tempi di pace e prosperità non di guerra».

Il nuovo mondo che arriva, per usare l’espressione della Cerretelli, fa venire al pettine molti nodi. È stato chiesto, ad esempio, allo stratega americano di orientamento democratico Charles Kupchan quali siano stati gli errori commessi dall’Occidente ed ha risposto: «La mancanza di pragmatismo. Lo sforzo diplomatico doveva essere fatto quando l’Ucraina stava guadagnando terreno sul campo di battaglia, ora invece dovrà negoziare da una posizione di debolezza. Sappiamo ormai da circa due anni che questa è una guerra che finirà al tavolo delle trattative, non sul campo di battaglia».

Ci vorrà forse ancora del tempo per arrivare ad una tregua per l’Ucraina e bisognerà metabolizzare lo scenario mondiale del dopo Trump. Ma ritornando all’immagine dell’inizio chi mai potrebbe essere così folle di preferire una situazione di conflitto anche solo alla semplice trattativa economica e/o commerciale? Quando una guerra finisce lascia sul terreno non solo centinaia di migliaia di morti ma lacerazioni profonde nei popoli e nelle civiltà. Ci vorrà davvero tempo, pazienza e lungimiranza. Ma per favore lasciate che anche questa volta il grande mondo giri.

Giornalista, Autore tv

Alessandro Banfi