Un articolo di: Redazione

Le presidenziali USA del prossimo 5 novembre coinvolgeranno potenzialmente 260 milioni di elettori. Ma il meccanismo elettorale è complesso, i cittadini scegliendo il candidato di fatto votano quelli che saranno i Grandi Elettori, che poi a dicembre ufficializzeranno il risultato votando il Presidente. In quasi tutti gli Stati i Grandi Elettori sono scelti con il maggioritario puro, per questo motivo, spesso, a finire nello Studio Ovale della Casa Bianca non è il candidato per il quale ha votato la maggioranza degli elettori americani. Così è successo a Hillary Clinton quando venne sconfitta da Donald Trump...

Il voto è diviso in due fasi: il 5 novembre i 250 milioni di aventi diritto saranno chiamati alle urne, dopodiché il 17 dicembre sarà la volta del voto dei Grandi Elettori

La corsa alle elezioni americane sta per arrivare al termine e la tensione aumenta. Dopo due tentativi di omicidio, il candidato repubblicano Donald Trump ha chiesto un aereo militare super protetto, che lo trasportasse, temendo un attentato con droni e missili, organizzato dai terroristi iraniani. Come ha scritto Trump sul suo social network “Truth Social”, l’Iran vuole farlo fuori per permettere l’elezione della candidata democratica, Kamala Harris, per la quale Teheran “fa il tifo”.

La procedura di voto negli Stati Uniti è piuttosto complessa e significativamente diversa dai processi di elezione diretta che caratterizzano i sistemi elettorali di molti altri Paesi. Le 60esime elezioni presidenziali saranno martedì 5 novembre e  voto si svolgerà in due fasi. Nella prima (5 novembre) si terranno le elezioni nazionali alle quali parteciperanno circa 260 milioni di persone, cioè tutti i cittadini statunitensi maggiori di 18 anni.

La data dell’Election Day non è scelta a caso, ma si vota il martedì immediatamente successivo al primo lunedì di novembre: questa scelta rappresenta una tradizione nel sistema elettorale statunitense. In molti Stati le elezioni partono tuttavia anche diverse settimane prima: ciò è spiegato con la volontà di permettere anche a chi è assente in quel giorno specifico di poter esprimere la propria preferenza, anche per posta.

Alle elezioni presidenziali negli USA possono votare “tutti i cittadini americani che abbiano compiuto 18 anni d’età”. Fanno, però, eccezione i cittadini residenti nel distretto di Columbia e nei territori non incorporati degli USA, che includono Guam, Porto Rico, le Isole Marianne Settentrionali e le Isole Vergini americane. Prima del 1971, era possibile votare solo a partire dai 21 anni. In 35 Stati occorre, nel voto di persona, esibire alle urne una forma accettata dal singolo stato di documento di identità. Tra questi stati ci sono Kansas, Indiana, Tennessee, Missouri e Georgia. A volte, ma non sempre, è possibile produrre altra documentazione originale che dimostra la residenza e a volte esprimere un voto provvisorio.

Il 10 ottobre, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato una legge approvata negli Stati del Texas e del Wisconsin, secondo la quale gli elettori avrebbero dovuto presentare un documento d’identità con foto ai seggi elettorali. Questo significa che gli elettori di Wisconsin e  Texas “non dovranno mostrare un documento d’identità per votare alle elezioni di novembre”. Questi Stati, insieme a molti altri, sostenevano invece che nuove leggi sarebbero state necessarie per prevenire le frodi elettorali.

Gli elettori americani possono votare ai seggi elettorali o per posta, e in entrambi i casi è consentito farlo in anticipo. Non a caso il candidato repubblicano alle presidenziali americane, Donald Trump, spiegando il suo rifiuto di ripetere il dibattito televisivo con il candidato democratico, Kamala Harris, ha sottolineato che “le elezioni sono già in corso”.

Sulla scheda elettorale compaiono i nomi del candidato e del suo vicepresidente (il cosiddetto ticket). Il voto dato dal popolo ai ticket viene però assegnato ai cosiddetti Grandi Elettori. Vale a dire che  l’elezione del presidente degli Stati Uniti è indiretta. I cittadini eleggono i Grandi Elettori con il sistema maggioritario . Il numero dei grandi elettori assegnati a ogni stato è proporzionale alla sua popolazione.

Votando un candidato sostanzialmente non si sceglie un presidente ma i Grandi elettori a lui associati. Dopo il voto del 5 novembre, le schede compilate verranno conteggiate da 3.143 commissioni elettorali locali.

Il Collegio elettorale, composto di 538 elettori, vota le due cariche (Presidente e Vicepresidente) a maggioranza assoluta. Un candidato alla presidenza USA per vincere deve ottenere almeno 270 voti dei Grandi Elettori

La seconda tappa delle elezioni presidenziali americane sarà il voto, il 17 dicembre, del cosiddetto “Collegio Elettorale” (in inglese: United States Electoral College), composto da 538 Grandi Elettori che rappresentano ciascuno dei 50 Stati, oltre al Distretto di Columbia. A ogni Stato viene assegnato un certo numero di elettori, che tiene conto delle dimensioni della popolazione ed è equivalente anche alla rappresentanza di ciascuno Stato in entrambe le Camere del Congresso. Il Collegio elettorale vota le due cariche a maggioranza assoluta (quindi, almeno 270 voti).

Di norma, i Grandi Elettori sono membri dei Partiti democratico e repubblicano: politici di spicco, personaggi del mondo della cultura, giornalisti dei principali organi di informazione, scienziati e uomini d’affari. Le liste dei potenziali elettori vengono approvate dalla leadership di ciascuno Stato molto prima dell’inizio del voto nazionale.

Dopo il voto del Collegio elettorale, diventa Presidente degli Stati Uniti il candidato che è riuscito a ricevere il sostegno di almeno 270 elettori.

Naturalmente può succedere che nessuno dei candidati sia riuscito a raggiungere questo risultato. In questo caso la Costituzione americana prevede una procedura di voto alla Camera dei rappresentanti del Congresso, nella quale il futuro Capo dello Stato deve ottenere il sostegno di almeno 26 dei 50 rappresentanti statali. È per questo motivo che le leggi elettorali statunitensi vietano ai membri di entrambe le camere del Congresso, nonché alle persone che ricoprono incarichi governativi, di essere membri del Collegio elettorale.

Vincere le elezioni nazionali negli Stati Uniti nel senso della maggioranza dei voti espressi non significa affatto diventare Presidente. Nel 2016 Hillary Clinton ha perso contro Trump pur avendo avuto in numero assoluto più voti

Ricordiamo che, nelle elezioni presidenziali del 2024, il voto del Collegio elettorale dovrà svolgersi più di un mese dopo il voto alle urne, vale a dire il 17 dicembre. I risultati di questo voto saranno trasmessi a Washington, dove i membri del Congresso americano si incontreranno il 6 gennaio per lo spoglio. I risultati del voto del Collegio elettorale saranno confermati dal presidente del Senato, che è anche l’attuale vicepresidente, ovvero il candidato del Partito democratico statunitense Kamala Harris.

L’arcaico sistema elettorale degli Stati Uniti (è sostanzialmente lo stesso fin dall’indipendenza dalla Gran Bretagna) può non riflettere la volontà della Nazione: può infatti vincere chi ha preso meno voti. Questo capita perché i Grandi elettori, in 48 Stati su 50, vengono eletti con il maggioritario puro. La California, per fare un esempio, esprime 54 Grandi elettori, se Kamala Harris prendesse anche solo un voto più di Donald Trump tutti e 54 i Grandi elettori sarebbero espressione democratica. Fanno eccezione Maine (4 elettori al Collegio) e del Nebraska (5): qui chi vince ha il diritto a due voti,  i restanti ai vincitori di ciascuna delle circoscrizioni elettorali nello stato.

Pertanto, avere il maggior numero di voti negli Stati Uniti non significa diventare presidente del Paese. Di norma, a questo proposito, gli osservatori politici amano citare l’esempio di Hillary Clinton, che ha battuto Donald Trump alle elezioni presidenziali nazionali del 2016 con quasi 2,9 milioni di voti, ma non è mai diventata Capo di Stato. Trump aveva il sostegno di 304 Grandi elettori, mentre Clinton soltanto di 227 membri del “Collegio elettorale”.

Tra l’altro, in 29 dei 50 Stati e nel distretto di Columbia gli elettori del Collegio non hanno il vincolo di votare il candidato a cui erano affiliato. C’è quindi sempre la possibilità di “franchi tiratori”.

Molto se non tutto dipende dal voto nei pochi Stati americani, chiamati chiamati swinging, cioé “indecisi” o “viola”

Ecco perché ora tutta l’attenzione dei contendenti e delle rispettive squadre elettorali si concentra sui cosiddetti Stati “swinging”, cioé oscillanti, indecisi. Attualmente, gli Stati “swinging” negli Stati Uniti sono quegli in cui i Partiti democratico e repubblicano godono di un sostegno approssimativamente uguale e il divario tra i candidati è, di regola, minimo. A volte sono anche chiamati “indecisi” o addirittura “viola”, dal colore che risulta dalla miscelazione del blu (democratici) e del rosso (repubblicani).

Il numero di questi Stati “swinging” non è costante: nelle elezioni presidenziali del 2020, la lista comprendeva 14 Stati, e oggi gli esperti americani hanno classificato come Stati “swinging” 7 Stati con 94 elettori: Arizona (11), Georgia (16), Michigan (16), Nevada (6), Pennsylvania (20), Carolina del Nord (15) e Wisconsin (10). Gli analisti dicono che vincerli potrebbe essere decisivo per entrambi i candidati. Ma c’è anche chi crede che oggi non ci siano 7, ma 12 di questi Stati, e il numero totale degli elettori in essi sia di 148 persone.

Secondo gli analisti americani, oggi 17 Stati (210 voti elettorali) possono essere classificati come cosiddetti “democratici”. Si tratta di California (55), Colorado (9), Connecticut (7), Delaware (3), Hawaii (4), Illinois (20), Maine (4), Maryland (10), Massachusetts (11), New Jersey (14), Nuovo Messico (5), New York (29), Oregon (7), Rhode Island (4), Vermont (3), Virginia (13), Washington (12) più il Distretto di Columbia (3).

Il Partito Repubblicano conta 21 Stati con 177 voti elettorali. Questi sono Alabama (9), Alaska (3), Arkansas (6), Idaho (4), Indiana (11), Kansas (6), Kentucky (8), Louisiana (8), Mississippi (6), Missouri (10), Montana (3), North Dakota (3), Ohio (18), Oklahoma (7), Carolina del Sud (9), Dakota del Sud (3), Tennessee (11), Texas (38), Utah (6), Virginia occidentale (5) e Wyoming (3). Ciò significa che Trump deve assicurarsi il sostegno di 92 elettori negli Stati indecisi per sconfiggere Kamala Harris.

Esiste una procedura speciale se nessuno dei due candidati alla presidenza degli USA riuscirà a raccogliere i 270 voti necessari dei Grandi Elettori

Ciascun candidato – nel caso specifico delle elezioni americane del 2024 sono Donald Trump e Kamala Harris – ha dunque bisogno di 270 voti per essere eletto Presidente. Nella storia è capitato rarissime volte che si verificasse uno scenario in cui nessuno dei due candidati raggiunga questo numero o ci sia addirittura una situazione di parità.

In questo caso, occorre procedere in un altro modo. Se nessun candidato raggiunge la maggioranza dei voti elettorali, presidente e vicepresidente vengono scelti in base ai dettami del XII emendamento. Il presidente è scelto dalla Camera dei Rappresentanti fra i tre candidati che hanno ricevuto più voti, ma in questa votazione si vota per Stati: i rappresentanti di uno stesso Stato dispongono, collettivamente, di un solo voto. Un secondo ballottaggio per la scelta del vicepresidente si tiene al Senato, con un voto per ogni senatore.

Dopo che i Grandi Elettori hanno votato, l’insediamento del nuovo presidente e del suo vice avverrà solo a gennaio del 2025. Il Congresso è convocato a Camere riunite il 6 gennaio, per ratificare i risultati e proclamare la nomina del Presidente.

Il mandato del presidente degli Stati Uniti dura 4 anni ed inizia formalmente il 20 gennaio successivo al giorno delle elezioni. Il 60° insediamento presidenziale (Inauguration Day) avrà luogo lunedì, 20 gennaio del 2025 a Washington, D.C. La cerimonia si terrà sulla facciata ovest del Campidoglio degli Stati Uniti. Il Joint Congressional Committee on Inaugural Ceremonies (JCCIC) è responsabile della pianificazione e della realizzazione della cerimonia.

Il presidente americano può essere rieletto solo una volta, quindi per un totale di due mandati consecutivi. In caso di morte o dimissioni del presidente, il suo vicepresidente ha il compito di terminare il mandato. Una volta terminato il mandato, il presidente degli USA non diventa senatore, come accade, ad esempio, in Italia.

Giornalisti e Redattori di Pluralia

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