Un articolo di: Francesco Sidoti

Per molti secoli il cielo è stato popolato da diverse divinità ma è stato anche il cielo di tutti. Ora lo guardiamo spesso, in attesa di un nuovo Big Bang della tecnologia. Non c'è più il firmamento di una volta

Le guerre stellari sono tornate d’attualità perché negli Stati Uniti il presidente di una Commissione intelligence ha svelato che c’è una questione “seria, estremamente delicata, di recente venuta a conoscenza”: un’inaspettata militarizzazione dello spazio, con armi nucleari. Oltre temuti sistemi laser come Kalina e Peresvet, c’è un novello convitato di pietra nell’ultima cena dell’Occidente: il missile ipersonico 3M22 Zirkon, codice della NATO SS-N-33 (nella foto a sinistra). “Finora soltanto Mosca ha già a sua disposizione questi vettori, che negli USA sono ancora in fase sperimentale”. Dmitrij Peskov ha smentito, ma la preoccupazione americana era così pressante da indurre Blinken a chiedere a Cina e India di convincere la Russia a desistere, sostenendo che in un grande botto ci lascerebbero le penne anche loro.

Mentre i politici cercano di smorzare i toni, i servizi stanno soffiando sul fuoco

A Washington, il pericolo è preso molto sul serio. Dicono le cronache che il presidente Biden, immediatamente dopo la morte di Navalnyj, abbia per prima cosa “cercato di placare le paure provocate dall’allarme dei giorni scorsi sulle nuove capacità militari di Mosca”, assicurando che “non c’è nessuna minaccia nucleare per gli americani da quello che stanno facendo i russi nello spazio”. Ma è stato subito smentito: le agenzie d’intelligence sono d’accordo nel ritenere che si tratti di una bomba a orologeria, ruotante indisturbata sopra le nostre teste, ma capace di distruggere indirettamente le economie dal cielo e lasciare gli umani a sbrogliarsela sulla terra. Basterebbe poco e i sistemi di comunicazione globale collasserebbero, mettendo a zero quasi tutto, dai servizi bancari ai cellulari, dal traffico aereo ai talk show. I detriti dell’esplosione si disperderebbero nella bassa orbita terrestre e renderebbero impossibile la persistenza della situazione odierna: la traversata, la colonizzazione, il welfare state dei cieli. L’unico precedente di un test bombarolo nello spazio è del 1962. Pur effettuato dagli Stati Uniti, sopra uno sperduto atollo dell’Oceano pacifico, distrusse l’intera elettronica delle Hawaii, interrompendo di schianto ogni servizio telefonico e disintegrando o danneggiando seriamente tanti satelliti. Un test talmente inquietante che Stati Uniti e Unione Sovietica si precipitarono a concordare l’Outer Space Treaty, un trattato che esclude perfino la possibilità di posizionare armi nucleari nell’atmosfera o nello spazio, per qualunque motivo. Figuriamoci cosa succederebbe se nello spazio scoppiasse oggi una castagnola atomica, o magari più di una, sparpagliate nei punti giusti.

Si teme una catastrofe “misteriosa” che potrà innescare una reazione a catena

Chissà perché, si teme possa accadere qualche altro misterioso incidente, parallelo e contrapposto a quello di Nord Stream. Non più nella profondità degli oceani, ma nella sommità degli empirei. Chi la fa, l’aspetta – oppure raddoppia, per giocare d’anticipo. Sarebbe un disastro, che innescherebbe altri disastri, a catena e a valanga. Il Far West nei cieli e l’inferno sulla terra. Con tanti saluti ai droni kamikaze da 400 euro, agli algoritmi nucleari, all’intelligence digitale, ai sistemi di targeting, e compagnia cantando. Dietro le guerre stellari c’è il problema superiore della vulnerabilità della compagine tecnologica occidentale, che è lussureggiante anche perché estremamente sofisticata, intrecciata, interdipendente, estesa, dunque vulnerabile. Già il Gulf International Forum aveva avvertito in merito ad un’ineluttabile fragilità: nel Mar Rosso bastano e avanzano gli Houthi per mettere a repentaglio la rete di cavi sottomarini che collegano le aree più remote e delicate dei cinque continenti, veicolando transazioni finanziarie, chiamate telefoniche, informazioni e istruzioni di ogni genere.

I rivoluzionari della Terza internazionale, Gramsci in particolare, hanno a lungo ragionato sulla forza della società civile in Occidente, dove lo Stato era soltanto “una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte”. Oggi quella società è assai meno civile rispetto ad allora, Trump insegna. L’Occidente è molto forte e molto vulnerabile contemporaneamente. Aperto il vaso di Pandora, nessuno può prevedere come finirà. Si potrebbe avverare la profezia di Einstein: “Non ho idea di quali armi saranno usate nella Terza guerra mondiale, ma la Quarta sarà combattuta con la clava e la fionda”. Di sicuro, non c’è più il firmamento di una volta, il silence éternel di Blaise Pascal o lo Sheltering Sky di Paul Bowels. Alcuni pensano che la vita sia un pozzo senza fondo – poiché non sanno quando moriranno, confidano che il cielo li proteggerà per sempre e non li farà mai ritornare dal nulla al nulla, dentro l’infinito vuoto di vita che ci assedia.

Il cielo un tempo popolato dagli Dèi, ora è diventato la base di carabattole ipertecnologiche e non di rado micidiali

Con lo sguardo di scienziati e di poeti, ogni cultura ha alzato gli occhi al cielo, che ancora nella sua denominazione porta traccia di una blasonatura sovrannaturale. Il cielo è stato sempre popolato dagli Dèi, sovente irascibili e vendicativi, attrezzati di fulmini e saette. Poi Galileo ha puntato il suo cannocchiale verso l’alto ed è diventato il cielo stellato di Kant. Lentamente si è ripopolato di carabattole ipertecnologiche, conviventi spalla a spalla con l’aerial warfare, che comincia nel 1911 e rivela dal 1939 una sua caratteristica intrinsecamente democratica: i bombardamenti delle città uccidono indiscriminatamente soldati e civili, militaristi e pacifisti, buoni e cattivi.

Il cielo è stato degli Dèi, ma è stato anche di tutti. C’era posto per tutti. Perfino per l’Italia, diventata leader mondiale dell’osservazione celestiale della Terra. Il cielo è esempio di una congenita armonia sincronizzata, ma specialmente di una possibile cooperazione globale win-win: l’aviazione commerciale internazionale, subordinata a regole ferree nell’interesse generale e con soddisfazione generale, per 24 ore al giorno e in ogni minuto dell’anno. Un modello di trasparenza e coesistenza. È squisitamente italiano l’intento pacifista di utilizzare gli space assets per combattere la criminalità sommersa, favorire l’agricoltura, studiare il cambiamento climatico. Si potrebbero fare tante belle cose nello spazio. Invece, no.

Tra il Covid-19, la trasformazione meteorologica incalzante, e l’Ucraina, sembra sia in scena una prova generale per la prefigurazione della fine del mondo. Nel mentre, Euclid, il meraviglioso telescopio volante dell’Agenzia spaziale europea, sta procedendo inflessibile nella sua marcia dentro l’Universo oscuro. Avanza all’indietro, nei miliardi di anni della storia cosmica e freneticamente si fa i selfie con una galassia dopo l’altra, da turista impertinente e impenitente. Si dice che potremo regredire nell’immensità del tempo cosmico, fino a fotografare il momento divino del Big Bang; nell’attesa, c’è chi non esita a provocare un Big Bang su scala millimetrica e minimalista, una riedizione in formato ridotto, in ultra-sedicesimo: una robetta casalinga, locale, artigianale, raffazzonata nei mezzi eppure definitiva nei risultati.

Sociologo

Francesco Sidoti