Un articolo di: Nicola Pasquali

Gli investimenti in energia si trovano a uno snodo cruciale e, superata l'approccio ideologico della transizione energetica, si torna a strategie più pragmatiche di sviluppo aggiungendo e non sostituendo le energie rinnovabili a quelle tradizionali. In questa chiave l'Aggiunta Energetica ha il sapore di un saggio ripensamento

La teoria dell’Aggiunta Energetica è meno punitiva rispetto alla narrativa della Transizione Energetica

Con l’uscita della prima banca americana, J.P. Morgan Chase & Co., dalla Net-Zero Banking Alliance (NZBA) lo scorso 7 Gennaio, analisti a tutte le latitudini sono stati concordi nel notare un definitivo cambio di attitudine nel rispetto degli investimenti in energia. J.P. Morgan è stata notevolmente l’ultima istituzione finanziaria di maggiore rilievo a lasciare l’alleanza, dopo che Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley, Wells Fargo, e Goldman Sachs intrapresero lo stesso cammino nel 2024 e segnalando un progressivo distacco dagli obiettivi non realistici di riduzione delle emissioni di carbonio che governi e società in tutto il mondo si sono auto-imposti in maniera allarmante, potenzialmente ruotando verso una visione più bilanciata sulla tematica energetica se possibile caratterizzata dall’impalcatura teorica dell’Aggiunta Energetica, meno punitiva rispetto alla narrativa della Transizione Energetica. In modo ancora più importante, l’apparente esodo coordinato  degli attori di Wall Street dalla NZBA ha aperto un ampio dibattito circa il nuovo ingresso delle banche di investimento nell’arena del finanziamento ai progetti energetici dopo anni di auto-censura, una manovra che potrebbe tradursi nella ritrovata disponibilità di capitali freschi a supporto di tecnologie esistenti e nuove per la produzione, trasporto e distribuzione di fonti di energia convenzionali.

Net-Zero Bank Alliance cessato di rappresentare un punto di riferimento per le maggiori istituzioni finanziarie mondiali – possibilmente, a causa delle eccessivamente stringenti disposizioni

La Net-Zero Bank Alliance è parte della United Nations Environment Programme Finance Initiative (UNEPFI), che per oltre 30 anni “ha collegato le Nazioni Unite con istituzioni finanziarie in tutto il mondo per strutturare un’agenda di finanza sostenibile” (Fonte: UNEPFI). Per aderire alla NZBA, le banche devono sottomettere una Dichiarazione di Impegno (Commitment Statement) che impone la transizione dei portafogli di investimento in modo coerente con il raggiungimento degli obbiettivi di neutralità delle emissioni entro il 2050 o addirittura in anticipo rispetto a tale scadenza, facendo specifico riferimento alla gestione dell’esposizione verso quei settori ritenuti maggiormente responsabili per l’immissione di gas serra (GHG) nell’atmosfera, e successivamente a controparti più efficienti dal punto di vista energetico entro un periodo di 36 mesi. Nonostante l’iniziale larga accettazione dell’iniziativa, nel corso degli ultimi 18 mesi il numero di istituzioni aderenti è sceso da 500, rappresentando un monte di attivi gestiti per oltre USD 170tn, all’attuale evidenza di 135 banche, per una considerazione di circa USD 56tn. È dunque manifesto che l’iniziativa abbia cessato di rappresentare un punto di riferimento per le maggiori istituzioni finanziarie mondiali – possibilmente, a causa delle eccessivamente stringenti disposizioni della Dichiarazione di Impegno che si traducono in ciò che potrebbe essere stata stimata come una perdita di volume d’affari non bilanciata da benefici in termini di accettazione e visibilità presso la comunità allargata degli investitori.

Il cambio di attitudine nella materia degli investimenti in energia è ancora più visibile quando si ricordano le gravi anticipazioni della International Energy Agency (IEA) solo nel 2021, quando l’agenzia asserì che “non saranno necessari alcuni nuovi investimenti nello sviluppo di appezzamenti petroliferi e gasieri nel cammino verso la neutralità di emissioni entro il 2050”. Solo due anni dopo tale affermazione tuttavia, la stessa IEA fu forzata a concedere che “alcuni investimenti nella fornitura di petrolio e gas naturale sono necessari a garantire la sicurezza della catena del valore e provvedere all’alimentazione di quei settori ove l’abbattimento delle emissioni è maggiormente difficile da verificare”, mentre infine, nel World Energy Investment Report dell’anno 2024, l’agenzia ha ultimato l’inversione della propria prospettiva riportando che “gli investimenti upstream nel settore del petrolio e del gas naturale sono attesi aumentare del 7% nel 2024 per raggiungere la quota di USD 570bn, a seguito di un incremento del 9% nel 2023“.

Mentre il mondo occidentale tentava invero di sovvertire la razionalità e la logica degli investimenti in energia, il settore si è semplicemente adattato al nuovo ambiente

Mentre il mondo occidentale tentava invero di sovvertire la razionalità e la logica degli investimenti in energia, il settore si è semplicemente adattato al nuovo ambiente. Nel corso degli ultimi 5 anni, con le banche che progressivamente riducevano il proprio supporto alle fonti di energia convenzionali in ossequio al credo ambientalista, gli attori energetici hanno contato su capitali propri per finanziari progetti esistenti e nuovi. Da ciò è conseguito che i bilanci delle società energetiche di tutto il mondo sono ora considerevolmente più solidi dal momento che il grosso dei debiti sono stati ripianati: ad esempio, il rapporto tra debito e mezzi propri di Shell è crollato da 0.70 alla fine del 2020 all’attuale dato di 0.40; lo stesso dato in Chevron è passato da 0.32 nel 2021 a 0.13 ad oggi, mentre quello di ENI pure è sceso da 0.85 nel Dicembre 2020 a 0.59 nel Febbraio 2025. Le società energetiche hanno sviluppato nuove competenze in finanza e strutturazione del capitale, che hanno loro consentito di articolare in maniera accurata le proprie tattiche in risposta al mutato sentire dei mercati e reggere al combinato disposto delle pressioni esercitate dallo scoppio della pandemia di COVID-19 nel 2020-2021 e l’innalzamento del livello di incertezza sul fronte geo-politico che ha caratterizzato il triennio 2022-2024.

In modo ancor più importante, a livello aggregato l’industria delle fonti di energia convenzionali è largamente scevra dai generosi sussidi ricevuti dalle fonti alternative e rinnovabili, e di conseguenza è possibile asserire che le attuali ragioni di scambio riflettano le reali valorizzazioni degli attivi, senza l’offuscamento indotto da strumenti finanziari esogeni. Infine, l’ampia dinamica di consolidamento attivatasi oltre dieci anni orsono ha dato vita a una coorte di attori di respiro globale per natura, forti di basi di capitali e competenze sufficientemente estese da consentire l’entrata in regime di indipendenza in progetti differenziati lungo tutta la catena energetica del valore. Nulla di quanto sopra può essere asserito a proposito delle società attive nelle energie rinnovabili e del settore stesso: in meri termini dimensionali, poche aziende infatti possono affermare di operare sui mercati internazionali, e le valutazioni di mercato raramente scambiano nell’ordine dei miliardi di dollari.

Gli investimenti in energia si trovano a uno snodo cruciale

In aggiunta, le società di energia rinnovabile fanno massicciamente ricorso all’impiego di debito a tassi agevolati per sostenere i rispettivi progetti: la società di ricerca Eqvista stima che il rapporto di indebitamento medio delle società attive nel segmento della generazione di corrente elettrica da fonti rinnovabili sia di 3.13 (cioè il monte di debito all’interno del capitale di queste aziende è più di tre volte superiore ai mezzi propri), a fronte di un dato per gli operatori integrati in petrolio e gas naturale di 0.33. Da ultimo, il labirinto di sussidi che per oltre due decenni ha gonfiato gli investimenti in fonti alternative da poco più di USD 1.1tn nel 2015 al dato di circa USD 2tn nel 2024 non solo ha distorto la naturale disposizione delle dinamiche di mercato, ma ha nutrito una generazione di start-up contraddistinte da business plan fragili e conti economici ora oggetto di particolare scrutinio dal momento che gli stessi incentivi giungono progressivamente alla maturazione. A riprova di ciò, solo negli anni 2023 e 2024 più di 100 operatori in energia solare hanno dichiarato bancarotta nei soli Stati Uniti, mentre il fallimento di Markbygden Ett, il maggior operatore eolico svedese, ha portato gli economisti Christian Sandström e Christian Steinbeck a formulare un ammonimento contro una possibile “ondata di bancarotte” nel settore, riportando che nel periodo dal 2017 al 2022 l’industria eolica ha eroso capitali degli investitori per oltre EUR 1.2bn.

Gli investimenti in energia si trovano dunque a uno snodo cruciale. Da un punto di vista intra-settoriale, il rinnovato ingresso di banche commerciali e di investimento potrebbe significare un’apertura del ventaglio dei progetti che potrebbero trovare supporto e attivazione, ampliando il portafoglio di opzioni di finanziamento per le società e consentendo agli investitori di godere dei maggiori ritorni generati dalle energie convenzionali. In questo senso, la Federazione Russa ha già guadagnato un invidiabile vantaggio competitivo e strategico: come confermato dal think-tank Energy Monitor, il Paese vanta alcuni tra i progetti energetici maggiormente attraenti, quantificati in circa 20.5 miliardi di barili di petrolio equivalente (bboe) già allo studio congiunto di investitori in mezzi propri e debito. In modo del tutto affine, un altro Paese dei BRICS, il Brasile, ha confermato investimenti in fonti di energia convenzionale per oltre USD 100bn per il periodo 2024-2028, mentre la Norvegia, al momento il maggiore fornitore di gas naturale verso l’Europa e Paese d’origine del primo fondo sovrano al mondo, ha iniziato a strutturare il finanziamento di progetti di estrazione di petrolio e gas naturale nel settore Nord del Circolo Polare Artico, come nel caso del progetto Johan Castberg, valutato in ca. USD 7.2bn e sponsorizzato dal campione energetico nazionale, Equinor.

Donald Trump ha dichiarato lo stato di Emergenza Energetica Nazionale e proclamato l’inversione a U dell’America in materia ambientale

Istituti finanziari particolarmente avveduti hanno ora la possibilità di ricostituire le proprie competenze interne in materia di espressione di investimenti nel settore energetico e bilanciare i propri attivi, a oggi presumibilmente versati in direzione delle fonti rinnovabili, per il tramite della partecipazione a selezionati progetti nel segmento convenzionale. È pertanto interessante a tale proposito notare il successo riscosso da Trafigura, una delle maggiori società di trading di beni energetici e commodity su scala globale, in occasione del lancio della prima linea di credito su base non impegnativa per lo sconto di creditorie coperte da assicurazione e altre forme di pre-pagamento nel Gennaio 2025: la linea è stata infatti sottoscritta dagli istituti di credito per un importo ben superiore a quanto inizialmente pianificato, e in ultimo collocata per l’importo di USD 1bn rispetto alla taglia iniziale di USD 800mln grazie alla partecipazione di sette istituzioni finanziarie.

Il 20 Gennaio 2025, in occasione della Cerimonia di Inaugurazione del 47 esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump ha dichiarato lo stato di Emergenza Energetica Nazionale e proclamato l’inversione a U dell’America in materia ambientale citando lo slogan della campagna politica Repubblicana del 2008 “Drill, Baby, Drill” (“Perfora, Ragazzo, Perfora”). Nonostante le preoccupazioni sollevate dall’esplicita intenzione espressa dal Presidente statunitense di “esportare l’energia americana in tutto il mondo”, la comunità di analisti e trader ha accolto con favore il riposizionamento e gli stessi hanno premiato le azioni dei titoli energetici con una performannce positiva per circa il 5.35% dall’inizio dell’anno.

A volte, sembrerebbe, ciò che è più necessario per muoversi in avanti, non è nient’altro che un semplice passo indietro.

CFA, FRM, CIPM, economista

Nicola Pasquali