La Corte Suprema brasiliana aveva respinto la proposta di limitare il riconoscimento delle terre indigene, il così detto “Marco temporal”. Ma un punto a favore della lobby agricola è arrivata, solo a una settimana di distanza, dal Congresso brasiliano che il 27 settembre è riuscita a far approvare rapidamente una proposta di legge finalizzata a contrastare la decisione che toglieva ogni limite temporale alle rivendicazioni dei nativi sulle terre.
Negli ultimi anni i conflitti fondiari sono aumentati esponenzialmente man mano che si espandeva la frontiera agricola brasiliana nella regione amazzonica. In tutto il Paese comunità indigene rivendicano terre che che sono state colonizzati e utilizzate dagli agricoltori anche per interi decenni.
Il “Marco Temporal”, progettato dal governo dell’ex presidente Jair Bolsonaro e sostenuto dalla potente lobby dell’agro-business, voleva limitare la possibilità di rivendicazione delle terre indigene a quelle che erano effettivamente occupate dai nativi al momento dell’entrata in vigore della costituzione, ovvero il 1988.
Una legge considerata discriminatoria per i nativi, mentre al contrario l’eliminazione di una data precisa per le rivendicazione costituisce per gli agricoltori un’incertezza troppo grande: una rivendicazione potrebbe arrivare in ogni momento in assenza di un punto di riferimento temporale.
Ora la “palla” passa al presidente Inácio Lula da Silva, che potrà porre il veto; lo stesso Lula ha promesso, anche per aggirare il problema, di legalizzare 300 riserve. Il Congresso potrebbe poi scavalcare ulteriormente l’eventuale “no” di Lula, ma, in ultima istanza, la palla passerebbe nuovamente alla Corte Suprema. Per questo i parlamentari dell’opposizione hanno presentato una proposta di emendamento alla Costituzione che stabilirebbe un indennizzo per gli agricoltori costretti ad abbandonare le terre in cui si erano insediati da più di 70 anni.