Da otto mesi Israele è interessata da continue proteste contro la riforma giudiziaria voluta da Benjamin Netanyahu.
Il 73 enne, all’ottavo mandato come presidente, ha varato una riforma volta a rafforzare il potere dell’esecutivo nei confronti del potere giudiziario, per esempio con norme che permetterebbero al parlamento di rigettare con una maggioranza semplice le decisioni della Corte Suprema e in generale indebolendo l’indipendenza del sistema giudiziario.
Da diverse settimane quindi le maggiori città israeliane sono teatro delle proteste di centinaia di migliaia di israeliani: è uno dei più grandi movimenti di protesta nella storia del Paese.
Il rischio, secondo la variegata “famiglia” dei manifestanti, è che la riforma metta in discussione la democrazia israeliana. A sostenere la linea di Netanyahu ci sono invece i partiti religiosi come Shas, Giudaismo Unito della Torah e Sionismo religioso.
Proprio la paura di un’involuzione del sistema democratico israeliano ha portato nei mesi scorsi un’ingente fuga di capitali verso l’estero (in particolare verso gli Stati Uniti) e un rallentamento nella crescita economica del paese che fino allo scorso anno (il Governo è stato eletto a novembre) era costante e caratterizzata da bassa inflazione.
L’attenzione ora si sposta proprio sulla Corte Suprema che a settembre dovrà esprimersi sulle leggi approvate dal parlamento che rimettono in discussione il rapporto di forza tra potere esecutivo e giudiziario.