La Russia dice addio ai vini dei Paesi “non amichevoli”

La Russia ha colpito ancora una volta l’export agroalimentare dei Paesi “non amichevoli”, ovvero di quelli che aderirono a partire dal 2014 alle politiche sanzionatorie anti-russe dell’Unione europea e dell’Occidente in generale. Questa volta nel mirino del Cremlino si è trovato il vino. Fino alla fine del 2023 le importazioni russe di vino, provenienti dall’Italia, dalla Spagna, dalla Francia e di altri Paesi “ostili” saranno soggetti ai  dazi “proibitivi” che sono saliti di colpo dal 12,5% al 20% e non “potranno essere inferiori a 1,5 dollari per un litro” di vino.

Per primi dai banchi dei negozi sono spariti i vini della fascia “economica”, che in Russia costano in media 700 rubli (6,9 euro circa) la bottiglia. L’Italia, che nonostante il conflitto armato in Ucraina, ha detenuto fino all’inizio del 2023 il titolo del “maggiore esportatore dei vini verso la Russia” sarà tra i Paesi più penalizzati dalle politiche doganali di Mosca. Fino a poco tempo fa la Russia è stata il decimo mercato per il vino italiano e il quinto maggiore mercato mondiale per gli spumanti “made in Italy”. Secondo gli esperti russi le importazioni del vino delle fasce più alte “non dovrebbero subire cambiamenti significativi”.

Nel settembre le importazioni russe di vino italiano sono crollate del 45% mentre quelle proveniente dalla Spagna sono scese del 38 per cento. Gli importatori russi stanno abbandonando le cantine europee a favore di quelle sudafricane, cilene ed argentine. “La logistica per i vini del Sud Africa è molto attraente: il trasporto non supera i 35-40 giorni”, ha detto Daria Sologub, direttore della società d’importazione Fort, notando che negli ultimi tempi “cresce rapidamente l’export verso la Russia dei vini della Turchia”. Insieme alla Russia il Sud Africa è tra i Paesi-fondatori del gruppo BRICS e il commercio bilaterale potrà essere svolto in valute nazionali.

Vale a dire che lo scenario internazionale per i vini italiani ed europei diventa sempre più complicato. Come ha scritto il quotidiano economico-finanziario italiano Il Sole 24 Ore: “a un quadro che nel primo semestre di quest’anno ha fatto segnare cali quantitativi in doppia cifra per le vendite negli USA, in Canada, in Giappone, in Norvegia, in Cina e nella Corea del Sud si sono aggiunte due inaspettate novità negative: il rialzo dei dazi sul vino della Russia e, soprattutto, le nuove accise sugli alcolici imposte dal primo agosto scorso dal Regno Unito”.

Il Regno Unito è saldamente il terzo sbocco per il vino italiano, alle spalle degli Stati Uniti e della Germania, con un fatturato che nel 2022 è stato di 741 milioni di euro. In linea con le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che “raccomanda la riduzione mondiale dei consumi di alcol” il Regno Unito punta a fare cassa con un nuovo sistema di accise che resterà in vigore per 18 mesi e potrebbe essere ritoccato al rialzo ancora una o più volte. Il sistema prevede un nuovo metodo di “calcolo parametrato” che sarà basato non più “sul volume” ma sul “grado alcolico”. Si tratta di una normativa pensata quindi per frenare in primo luogo le vendite di superalcolici ma che sul mercato britannico porteranno in auge la birra, penalizzando invece il vino.