Regno Unito: azione legale di Trump per “palese interferenza straniera” dei laburisti nelle elezioni USA

Nigel Farage: una “decisione terribile” quella di inviare negli Stati Uniti degli attivisti laburisti britannici a fare campagna a favore di Kamala Harris

Nigel Farage

Il candidato alla presidenza statunitense del Partito repubblicano e già presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha deciso di intraprendere azioni legali contro il Partito laburista britannico per “palese interferenza straniera” nelle elezioni presidenziali.

La campagna di Trump ha presentato una denuncia formale contro il Partito laburista, accusato di “interferenza nel processo elettorale degli Stati Uniti”. Il legali di Trump hanno accusato il Governo britannico del primo ministro laburista, Keir Srarmer, di aver fornito “contributi illegali stranieri” al candidato democratico e vice presidente, Kamala Harris. Il Partito laburista britannico aveva inviato negli Stati Uniti un centinaio dei suoi attivisti per “sostenere la campagna di Kamala Harris, in diversi Stati chiave per l’esito del voto del 5 novembre prossimo”.

In un comunicato in cui si annuncia la denuncia, ripreso dal quotidiano britannico “The Telegraph”, Trump ha accusato tra l’altro il Partito laburista di essere un gruppo politico “di estrema sinistra” che avrebbe “ispirato le pericolose politiche e retoriche liberali di Kamala Harris”.

Nigel Farage, leader del partito britannico “Reform UK”, ha criticato duramente il Governo laburista per aver “insultato la nuova amministrazione di Donald Trump” dopo che il team dell’ex presidente degli Stati Uniti, in corsa alle elezioni del 5 novembre, ha accusato il Partito laburista di interferenza nelle elezioni americane. In un messaggio scritto su X, Farage, alleato di Trump, ha affermato che è stata una “decisione terribile” quella di inviare degli attivisti laboristi a “fare campagna a favore dell’altra candidata alla presidenza statunitense, la democratica Kamala Harris”.

Dopo il doppio attacco di Trump e Farage, il leader laborista e primo ministro britannico, Keir Starmer, si è tirato indietro, affermando che i “membri del suo partito erano negli Stati Uniti su base volontaria”.