Il prezzo dei future sul gas con la consegna in luglio sulla piazza ICE Futures Europe durante la sessione di giovedì 15 giugno, è salito di quasi il 30%, fino al picco di 49,57 euro per un megawatt/ora, ovvero poco più di 564 dollari per mille metri cubi. Alla chiusura delle contrattazioni, la crescita ha rallentato la propria corsa fino al 2,6% e il prezzo è sceso a 39,305 euro per un megawatt/ora, ovvero a 451 dollari per mille metri cubi.
ICE Futures Europe è la più grande Borsa regolamentata di future sull’energia in Europa e la seconda più grande al mondo. Offre contratti future e opzioni su energia ed emissioni di riferimento. ICE gestisce una serie di mercati in tutto il mondo. Ospita oltre il 50% del commercio mondiale di future sul greggio e sul petrolio raffinato e il suo contratto di riferimento – ICE Brent Crude – prevede il prezzo di due terzi del petrolio fisico mondiale.
Anche sul benchmark olandese di riferimento TTF i prezzi del gas sono raddoppiati in soli 10 giorni di negoziazione. Sempre giovedì scorso nelle contrattazioni il prezzo del titolo di riferimento europeo TTF è salito del 27% a 49,50 euro per un megawatt/ora, il livello più alto registrato dall’inizio di aprile. E questo dopo che all’inizio di giugno, l’indice TTF era sceso fino al minimo storico di due anni pari a soli 23 euro per un megawatt/ora.
Come ha spiegato all’agenzia RBC, Natalia Milchakova, analista capo presso la Freedom Finance Global “gli operatori sono stati influenzati dal rapporto di Bloomberg secondo cui i Paesi Bassi avrebbero dato retta all’iniziativa degli ambientalisti e potrebbero annunciare presto la chiusura del maggiore nell’Unione europea giacimento di gas di Groningen”. Il più grande giacimento d’Europa, che in teoria potrebbe rendere il vecchio continente indipendente da gas russo, non si può più usare perché “provoca terremoti”. Secondo le fonti di Bloomberg la decisione ufficiale sullo stop dell’estrazione il primo ottobre del 2023, potrà essere presa alla riunione del Consiglio dei ministri olandese alla fine di giugno.
“In precedenza – ha scritto Bloomberg – i Paesi Bassi avevano pianificato di chiudere comunque la produzione a Groningen entro e non oltre l’ottobre del 2024 a seconda della situazione geopolitica, ma a causa degli effetti dei terremoti, i tempi potrebbero essere anticipati di molto. Allo stesso tempo la decisione di bloccare la produzione a Groningen potrà essere rivista in caso di una nuova crisi energetica o di un inverno 2023-2024 particolarmente duro. In tal caso la produzione potrà essere riavviato nel giro di appena due settimane”.
La pericolosa attività sismica dovuta allo sfruttamento del giacimento di Groningen ha raggiunto il punto più drammatico nel 2012, con un terremoto di magnitudo 3,6 gradi, che ha provocato migliaia di richieste di risarcimento per danni alla proprietà. Dal 2012 sono stati demoliti più di 3.300 edifici, dopodiché due anni dopo il Governo olandese ha posto dei limiti stringenti allo sfruttamento industriale dei giacimento.
Dall’inizio della produzione nel 1963, il giacimento di Groningen è stato una fonte fondamentale di gas naturale per la maggior parte dei Paesi dell’Europa Occidentale, nonché un pilastro delle finanze pubbliche olandesi. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, la produzione di gas a Groningen è diminuita in modo significativo. Attualmente l’estrazione si trova sui livelli minimi. Mentre nell’ormai lontano anno 2013 la produzione è stata pari a 54 miliardi di metri cubi all’anno, nel 2018 è scesa a 21,6 miliardi e nel 2022 a soli 4,5 miliardi di metri cubi.
Si torna dunque a parlare in Europa di una nuova crisi energetica. “Le profonde oscillazioni dei prezzi causate da una serie di piccole interruzioni negli impianti di gas in Norvegia e dalla prevista chiusura di un importante sito di produzione nei Paesi Bassi hanno fornito un’idea di quanto sia fragile il mercato rispetto a qualsiasi minaccia di interruzione dell’approvvigionamento della regione”, ha scritto, Violetta Silvestri, analista di Money.it.