La Spagna, la Nato e Trump

Un articolo di: Pablo Iglesias

I sondaggi dicono che gli spagnoli sono contrari alle basi americane in Spagna e in Europa. Eppure votarono a maggioranza a favore dell'ingresso nella Nato. Il paradosso dei socialisti e l'effetto Trump

Poco più di un mese fa il sito di analisi elettorale Electomania ha pubblicato un sondaggio riguardante l’opinione degli spagnoli sulla “presenza delle basi militari statunitensi in territorio europeo e spagnolo”. Dallo studio emerge che la maggioranza degli spagnoli si dichiara contraria alla presenza di basi militari statunitensi sia in Spagna che in Europa. Lo stesso studio sottolinea inoltre come il rifiuto sia particolarmente forte tra gli elettori di sinistra e i partiti catalani e baschi, mentre gli elettori di destra appoggiano (sebbene non all’unanimità) la presenza militare degli Stati Uniti in Spagna e in Europa.
Nello specifico, il sondaggio indica che quasi il 58% dei cittadini ritiene che le basi militari degli USA vadano ritirate dal continente europeo, mentre solo il 36,5% è favorevole alla loro permanenza. L’opposizione alla presenza militare statunitense risulta ancora più netta se si prende in considerazione il territorio spagnolo: il 61,5% chiede il ritiro delle basi, contro un 35% che ne difende la presenza. Tra i dati relativi ai partiti politici, merita attenzione l’atteggiamento degli elettori del PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo), partito favorevole alla NATO che da decenni aderisce all’atlantismo come parte della propria ideologia. Nel caso del PSOE, infatti, il 73% dei suoi elettori respinge la presenza di basi americane in Europa e il 77% è contrario alle basi in Spagna.
Si tratta di dati estremamente rilevanti, se consideriamo che nel 1986 in Spagna si è svolto un referendum sulla permanenza della Spagna nella NATO. Fu convocato dal governo del PSOE presieduto da Felipe González, che si impegnò personalmente e coinvolse i media nella campagna a favore del “Sì”, contraddicendo quella che fino ad allora era stata la posizione ufficiale del suo partito. In quel referendum vinse il “Sì” con il 56,85% dei voti validi a favore della permanenza nella NATO. L’affluenza raggiunse quasi il 60%.
Lo slogan dei sostenitori del “No” durante la campagna referendaria era “No alla NATO, fuori le basi”. Dai tempi del referendum, svoltosi ormai quasi 40 anni fa, il consenso sull’atlantismo non ha mai smesso di crescere in Spagna, neppure dopo la caduta del muro di Berlino. Cosa è successo, dunque, perché oggi la maggioranza degli spagnoli respinga la presenza di basi militari in Europa e in Spagna? In poche parole: è successo Donald Trump. A colpire maggiormente in questo sondaggio è il contrasto tra l’opinione dei cittadini e quella delle élite politiche che continuano a difendere la permanenza nella NATO, la presenza di basi militari statunitensi in Europa e la subordinazione tecnologica degli armamenti degli eserciti europei agli USA, in un contesto in cui l’UE valuta il riarmo di fronte a una ipotetica minaccia russa.
Si ha l’impressione che la società stia gridando “il re è nudo”, come ne “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Hans Christian Andersen. Mentre le élite continuano a difendere la NATO e l’atlantismo, come se Trump non esistesse e come se gli Stati Uniti non avessero mai smesso di essere un alleato. Di fronte all’evidenza di ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, con un presidente apertamente ostile all’Europa, ampi strati della popolazione spagnola (specialmente gli elettori del PSOE, che erano tradizionalmente favorevoli alla NATO e all’amicizia con gli Stati Uniti) ritengono insensata la presenza militare statunitense in Spagna e in Europa. In effetti, che senso ha la dipendenza del sistema di difesa europeo da un paese ostile all’UE? Qual è il senso di far parte di un’organizzazione politico-militare come la NATO guidata dagli Stati Uniti? Queste domande, del tutto evidenti, scaturiscono da una realtà altrettanto ovvia che la Commissione europea e i governi nazionali si ostinano a voler ignorare: Trump.
Ciò che risulta incomprensibile è perché le élite politiche europee non vogliano accettare una realtà messa chiaramente in luce dai negoziati per porre fine alla guerra russo-ucraina: lo scarso peso dell’Europa in queste trattative è la prova più lampante del fatto che la subordinazione dell’Europa agli Stati Uniti abbia danneggiato l’Unione Europea. L’UE è stata relegata al ruolo di attore secondario in negoziati volti a concludere una guerra (e spartire l’Ucraina) che si svolge proprio sul territorio europeo.
L’ostinazione della Commissione Europea e del Regno Unito nel promuovere la corsa al riarmo rischia di portare a conseguenze economiche devastanti per ciò che resta dello Stato sociale. L’impegno dell’Europa a non mettere in discussione né la NATO né la dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti costituisce un grave errore, oltre al fatto che è insensato comunicare all’opinione pubblica di prepararsi a una guerra con la Russia e di procurarsi un kit di sopravvivenza.
Ma il sondaggio suggerisce anche una possibilità interessante: l’emergere di un movimento europeista e pacifista che possa mobilitarsi nei paesi dell’Unione per reclamare l’indipendenza geopolitica dagli Stati Uniti, la difesa dello Stato sociale e una politica europea autonoma dagli USA in merito al rapporto con la Russia, che punti sulla diplomazia e sull’uscita definitiva dalla NATO.
Trump sta cambiando il mondo, e l’Europa non può restare indifferente a questi cambiamenti rifugiandosi in un atteggiamento da struzzo. Sembra evidente che i cittadini ne siano sempre più consapevoli.

Fondatore di Podemos, Vice primo ministro, docente Università Complutense

Pablo Iglesias