Romania, un boomerang per Bruxelles

Un articolo di: Massimo Nava

Il voto per il primo turno delle presidenziali dà corpo alle peggiori paure dei vertici europei. Dopo aver auspicato l'annullamento del risultato emerso dalle urne in autunno, per le presunte ingerenze russe a favore del candidato sovranista Georgescu, gli elettori rumeni hanno clamorosamente premiato il suo sostituto, Simion, ultranazionalista contrario al riarmo europeo

E adesso come la mettiamo con il buon uso della democrazia e il rispetto del libero arbitrio dei cittadini? La domanda andrebbe rivolta a quanti in Europa (e ahimè non più negli Stati Uniti) pensano che i risultati delle elezioni e la volontà popolare siano accettabili e persino validi soltanto se questi corrispondono a un quadro di riferimento, appunto, accettabile. Non si tratta di destra o sinistra, bensì di adesione ai principi basilari di una democrazia e, in subordine, agli ideali europei. Quanto accade in Romania, come vedremo in dettaglio, è il caso limite, ma non isolato. Si discute di questo in Georgia e Moldavia per quanto riguarda presunte ingerenze russe. Ma si discute di questo anche in Germania, in considerazione della continua crescita dell’estrema destra di Alternative für Deutschland, e in Gran Bretagna, dopo il clamoroso successo dell’estrema destra di Nigel Farage.
È del tutto evidente che questi partiti e relativi leader rappresentano un pericolo per la democrazia e una deriva anti europea. Ma in che misura possono essere contrastati, perseguiti, addirittura esclusi dal gioco politico? Il dilemma non è nuovo. Si pone dai tempi dell’ascesa “democratica” per via parlamentare di Hitler e Mussolini. Karl Popper parlava di paradosso della tolleranza, sostenendo cioè il buon diritto delle democrazie di difendersi da chi vorrebbe sovvertirne le basi. D’altra parte, chi avrebbe il diritto di giudicare e quindi stabilire chi è davvero legittimato a governare? Inoltre, almeno in alcuni casi, si alimenta il fondato sospetto che il giudizio di illegittimità sottenda un banalissimo “parlare a nuora perché suocera intenda”, ovvero un gioco geopolitico in cui gli interessi esterni prevalgano sui destini del Paese chiamato alle urne. Banalmente, i filoeuropei vanno bene, i filorussi no.
Paradosso vuole che gli attuali rappresentanti della democrazia americana (il presidente Trump e il suo vice Vance) facciano il tifo per i candidati e i movimenti che le vecchie democrazie europee vorrebbero silenziare. Meglio sarebbe favorire prese di coscienza civile, attraverso un’informazione libera e capillare, e politiche sociali che restano il solo antidoto al populismo dilagante nelle democrazie. L’allarme scatta quando i buoi sono già scappati dalla stalla, senza affrontare le cause alla radice. Rimuovere i candidati estremisti può essere necessario, ma non sufficiente e a volte controproducente, come è appunto il caso della Romania, dove un giovane ex hooligan di estrema destra, George Simion, ha ottenuto oltre il 40 per cento al primo turno delle presidenziali e rischia di conquistare il Palazzo al ballottaggio del 18 maggio, contro il sindaco di Bucarest, il centrista e filoeuropeo Nicusor Dan, che è arrivato secondo con il 21% dei voti.
Spacciandosi per ardente patriota nazionalista, sostenitore di Trump, euroscettico, antiucraino, riuscirebbe ad arrivare dove, appunto, era stato bloccato il suo alleato Calin Georgescu, considerato filo-russo, arrivato in testa al primo turno alle elezioni poi annullate per presunte ingerenze da parte di Mosca. Simion non condivide le sue posizioni più radicali contro l’UE e la NATO, ma è andato con lui alle urne e gli promette, da vincitore, la carica di primo ministro. Simion, considerato vicino a Giorgia Meloni, si professa nazionalista e patriota e ha vinto capitalizzando in particolare il voto della diaspora, l’ostilità verso le élite, la lotta alla corruzione. Nel 2019 ha fondato il partito di ultra destra Aur, Alleanza per l’Unità dei Romeni, secondo partito in Parlamento. Il suo motto è “famiglia, nazione, fede e libertà”, con vene di antisemitismo. Alcuni suoi deputati in Aula hanno negato l’Olocausto e dichiarato eroi alcuni legionari fascisti che hanno combattuto il comunismo. Prima del voto di domenica scorsa migliaia di persone avevano manifestato, nel corso dei mesi, per denunciare un “colpo di Stato”. E anche gli Stati Uniti erano intervenuti: il vicepresidente JD Vance ha detto che la voce del popolo era stata messa a tacere “sulla base di deboli sospetti di un’agenzia di intelligence”. Ovvero, le presunte ingerenze russe.
“Non è solo una vittoria elettorale, è una vittoria per la dignità rumena”, ha dichiarato George Simion.
Il voto è un ulteriore segno del profondo disincanto degli elettori rumeni nei confronti delle loro élite politiche tradizionali, ma conferma anche la fragilità e le complicazioni del fianco orientale della Ue e della Nato. Il sistema elettorale, fra boicottaggi, ingerenze, annullamenti è stato completamente screditato agli occhi degli elettori. I sentimenti anti Ue non sono necessariamente filo russi, ma nemmeno acquiescenti verso le politiche di Bruxelles. Il paradosso è che adesso su questi sentimenti soffiano non solo i russi, ma anche gli americani.

Editorialista del Corriere della Sera

Massimo Nava