Opinions #15/24

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Washington e Bruxelles sembrano aver esaurito le loro certezze. L’Ucraina non è più sicuramente destinata a vincere la guerra ma deve rassegnarsi a prevedere una sconfitta sul campo o una “vittoria” significativamente mutilata. Ovvero senza i territori sotto il controllo di Mosca. È la novità a cui sono faticosamente giunti i leader politici americani, dell’Ue e della Nato, allineati – con un anno di ritardo – alle posizioni dei rispettivi vertici militari. Ma dodici mesi non sono passati senza lasciare traccia. Fallita la controffensiva di Kiev, sono ora i russi ad avanzare. E un tavolo negoziale, quando dovesse essere approntato, vedrà squadernati gli obiettivi di Mosca, non necessariamente identici a quelli di un anno fa. L’ipotesi di una “fascia di sicurezza” più ampia sembra prendere forza, Odessa potrebbe essere il punto di arrivo. Nel frattempo la Cina, al termine dell’annuale Assemblea del popolo, rafforza la verticale del potere che fa capo sempre più direttamente a Xi. Nella sua analisi, l’ambasciatore Alberto Bradanini affronta anche le tendenze economiche della superpotenza asiatica e le sempre più strette relazioni strategiche con la Russia. Una intesa destinata a preoccupare sempre di più Washington, alle prese con una campagna elettorale in cui la sfida tra Biden e Trump deve adesso fare i conti con la candidatura indipendente di Robert Kennedy jr. Il cui gradimento tra gli elettori democratici, osserva Andrew Spannaus, sta gettando nel panico il partito del presidente uscente.

Alessandro Cassieri

Editor in chief