Il caos sembra sotto i nostri occhi. Giorno dopo giorno più evidente e più inquietante. Tutte le certezze su cui le società contemporanee si sono accomodate negli ultimi tre decenni sono state rimesse in discussione. Si può dire che non esiste settore della percezione collettiva che non sia stato scosso dalle fondamenta. In Occidente soprattutto. Producendo disorientamento individuale, rancore sociale, avventurismo sistemico. Con prospettive a breve termine difficili da definire. Perché la sequenza degli smottamenti del paesaggio conosciuto è stata formidabile. Accostare i vari passaggi può aiutare a comprenderne la portata. Con la caduta del Muro di Berlino, la dissoluzione dell’URSS, la fine del comunismo come ideologia capace di sfidare quella capitalista l’agibilità politica delle classi dirigenti è stata senza limiti, come raramente nella storia. Ma dall’omogeneizzazione del quadro ideologico-culturale e dello stesso immaginario collettivo non è scaturita una quiete creativa, tutt’altro. La hubrys di un certo mondo occidentale ha compromesso sviluppi altrimenti promettenti per un Nuovo Ordine Mondiale che avrebbe potuto avere effetti salvifici, scongiurando guerre, contrastando miseria e migrazioni, coltivando uno sviluppo rispettoso del Creato. Non ci interessa qui richiamare responsabilità piuttosto chiare. Interessa invece, cartesianamente, l’enumerazione. Alla mancanza di una pace “su larga scala” si è affiancata la crisi finanziaria, esportata da Wall Street in tutto il mondo. Crisi generata nel profondo del sistema capitalista, che aveva cercato (ai tempi di Reagan e poi di Clinton) di dopare una dinamica in affanno sottomettendo l’economia reale ai giochi finanziari. Quel crash, partito dal fallimento della Lehman Brothers nell’estate del 2008, ha terremotato le certezze sulla capacità autorigenerativa di un sistema sul quale si erano schiacciati tutti gli attori, compresi quelli impegnati in un ossimorico capitalismo di Stato, come la Cina. Da lì, a cascata, la crisi di credibilità del sistema bancario; della missione dell’Unione europea, divenuta matrigna con i più deboli del club (Grecia); del tabù della guerra in territorio europeo; dell’ostentata impotenza nel regolare la questione israelo-palestinese. Sulla soglia del perimetro geopolitico ufficiale un altro scossone alle coscienze, non soltanto a quelle dei credenti, veniva dalla ineffabile scelta di Benedetto XVI di dimettersi, offrendo al mondo lo spettacolo inimmaginabile della compresenza di due Papi. In una dimensione più ordinaria, anche la politica, nelle sue diverse declinazioni nazionali, ha continuato ad offrire spunti di sconcerto, di disagio, di inquietudine. L’assalto al Campidoglio di Washington, i toni da resa dei conti tra i poteri americani, lo sfilacciamento delle relazioni tra alleati storici, il ricorso sempre più frequente a una retorica scomposta, aggressiva, volgare. Dove la sacralità di ogni funzione – pubblica o privata che sia – vive il degrado imposto dalla dimensione social. Il Moloch dei nostri tempi. Gli effetti a cascata sono numerosi soprattutto nel vaso più fragile, l’Europa. Tassello altamente privilegiato fino all’avvento del nuovo millennio, ha saputo imboccare tutte le soluzioni più autolesionistiche tra le varie possibili. Per orgoglio privo di un utile pregiudizio. Come tentare, reiterare e perseverare nella calligrafica ricerca di un consenso referendario sulla sua Costituzione anziché scegliere la via parlamentare. E contemporaneamente procedere a un allargamento della UE in assenza di riforme che ne facessero funzionare i processi decisionali, già inadeguati nell’Unione a 15 stati membri. Il fascino che un quarto di secolo fa Bruxelles esercitava a livello mondiale oggi sopravvive in distretti remoti, come Moldova e Georgia. O sull’orlo del collasso, come l’Ucraina. Altrove, le sfide portate da vari populismi, diversamente sovranisti, sono ad alto rischio. E le risposte fin qui emanate dalle élite in charge risultano, anche in questo caso, controproducenti. Le ingerenze anti-ingerenze di Bruxelles, istericamente ossessionata in questa fase dalle ombre russe, stanno alimentando risentimento e vittimismo. In Francia, l’esclusione per via giudiziaria dalle prossime presidenziali della leader dell’opposizione Marine Le Pen è un plus che incasserà il candidato del suo partito. In Germania, la decisione di considerare l’AfD un “pericolo per la democrazia” sta facendo salire ulteriormente il consenso intorno al partito di estrema destra. E le difficoltà senza precedenti, incontrate in parlamento al momento dell’elezione del nuovo cancelliere Merz, potrebbero rappresentare un ulteriore segnale. L’effetto boomerang è del resto arrivato clamorosamente in Romania, come spiega Massimo Nava, dove a un candidato sgradito a Bruxelles e per questo bloccato si è sostituito un candidato altrettanto sgradito ma ancora più vincente. Contraddizioni e scollamenti che si registrano anche altrove e su altri temi. In Spagna i sondaggi danno improvvisamente una maggioranza favorevole allo smantellamento delle basi americane presenti nel paese e più in generale in Europa. Nonostante il fervente atlantismo di gran parte dei leader politici, a cominciare dal premier socialista Sanchez. Una realtà che Pablo Iglesias prova a spiegare. Buona lettura.